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Filosofia morale oggi:
letture, pensieri e divagazioni
a cura di Paola Zelco
“Adattati alla sorte che ti è toccata ,
e ama gli uomini tra cui ti è toccato vivere,
ma amali veramente”
(Marco Aurelio) (1)
La filosofia morale è essenzialmente una disciplina pratica. Riguarda infatti non solo i pensieri ma soprattutto le azioni, i comportamenti e il nostro modo di interagire con gli altri.
Può essere una prassi ma per qualcuno forse anche una scoperta.
La possibilità e la responsabilità della scelta sono il cardine della filosofia morale.
All'essere umano è data la facoltà di distinguere il bene dal male e quindi di scegliere in maniera autonoma: in base alla nostra morale e alla nostra etica noi scegliamo il nostro comportamento e con esso, molto spesso, anche il nostro destino.
Per Kant il dovere risiede nella necessità di agire secondo l’imperativo categorico, che è e rimane un principio oggettivo e centrale.
A questo strettamente collegato è il principio della responsabilità che può riferirsi, per esempio, al mettere in pratica le virtù, all'essere coscienti dei propri comportamenti e consapevoli dei propri doveri (p.es. rispondere per le conseguenze delle proprie azioni).
Negli ultimi 60 anni si è sviluppata nel mondo scientifico una disciplina che ha a che vedere con l'etica e la morale: la bioetica. Questa disciplina si occupa dei problemi posti dallo sviluppo scientifico e tecnologico. L'ingegneria genetica, la scoperta della struttura del DNA, la contraccezione ormonale, i trapianti d'organo, la clonazione, etc... pongono enormi quesiti e prospettive, molte delle quali appaiono inquietanti: la manipolazione genetica, la vita che cresce e si sviluppa in modo artificiale, una scienza senza valori e una ricerca che lede la dignità dell'uomo.
Di etica si parla ancora molto nel mondo del lavoro: codice etico, carta dei valori, codici di condotta, monitoraggi di tutti i tipi, etc... ma è un po' come se si parlasse di strategie di marketing.
Nonostante la parola “etica”, nelle sue varie declinazioni, sia ormai sulla bocca di tutti e ci siano stati ulteriori e numerosi sviluppi in tal senso, p.es. l’etica applicata alla scienza e allo sviluppo tecnologico (ecosofia, ecologia profonda, etc), etica del lavoro, etica dei media, etica dell'ambiente, ecoteologia, neuroetica, etc… la condizione umana, e anche morale e culturale, di gran parte della popolazione sembra peggiorare.
L'ego
Jean Josipovici nel suo libro “Iniziazione alla felicità” (2) ci fa comprendere quanto il dovere più trascurato dagli esseri umani sia quello di essere felici.
Questo perchè la civiltà in cui viviamo “persegue altri fini che non l'uomo” e ci relega in una “situazione ingegnosamente chiusa” (3)
Ma che cosa significa “essere felici”?
Infelice è colui che perde ciò che Josipovici chiama la “scienza di sè”, cioè la presenza e la guida della propria coscienza e consapevolezza interiori.
Egli evidenzia in questa perdita un aspetto involutivo “concernente il comportamento umano privo di spiritualità sostanziale, reso comunque irresponsabile e partecipe del processo universale che conduce alla catastrofe.”(4)
In pratica significa che non sappiamo più pensare correttamente, non riusciamo più a giudicare i fenomeni dal nostro interno, alteriamo e limitiamo il nostro pensiero, tanto che ne deriva un impoverimento del reale.
Siamo immersi in una sorta di ipnosi “che se tentiamo di pensare o di esprimerci è difficile renderci conto di essere oggetto di imposizioni che non corrispondono affatto all'esperienza reale. E' come scoprire, a contatto con certi pittori o poeti, quanto si viva falsamente, in superficie.”(5)
La mente finisce col moltiplicare meccanismi di difesa, “difese di ogni genere contro gli eventi e contro il tempo, contro gli altri e anche contro di sè”.(6)
Questo meccanismo di difesa della mente è l'ego, “una creazione della paura”(7).
Le sue caratteristiche sono la competizione, l'arrivismo, il materialismo e il blocco di qualsiasi connessione con la Trascendenza: “la vibrazione aerea della vita, il suo dinamismo creatore sono respinti nell'oblio”(8)
L'ego cresce, si sviluppa sempre di più, si indurisce, si corazza, ma ciò che è più grave, si rivela assolutamente incapace di esercitare il controllo su sé stesso. E non ne esiste uno solo: ognuno di noi ha dentro di sé innumerevoli ego: “Ogni volta è una persona differente che reagisce”(9)
I vari ego comandano a turno secondo il tempo, l'ambiente, l'umore, le circostanze. Ma il vero proprietario non se ne avvede, non si accorge della lotta e del putiferio che avviene in lui. E comunque sia non sarebbe mai capace di controllare tutta quella bolgia poiché vive sempre e costantemente “nel suo ultimo io” e come sottolinea Josipovici: “la non conoscenza del passaggio da un 'io' sussidiario ad un altro è responsabile della falsa idea di sè” (10)
Gli ego che vivono nell'intimo di ognuno di noi, questi meccanismi interiori capaci di devastare e obnubilare le nostre coscienze li troviamo esaminati e sviscerati in molte dottrine religiose, tra cui quella cristiano-cattolica, nella quale i sette vizi capitali, sempre presenti nell'uomo, definiscono il tumulto delle innumerevoli entità che si affannano incontrollate per prevaricare una sull'altra.
La posta in gioco è ovviamente l'essere umano, nello specifico la sua coscienza.
Molto spesso sentiamo parlare anche di “ombra”, dell'aspetto oscuro della nostra natura con cui tutti siamo obbligati a fare i conti: si tratta sempre ovviamente del nostro aspetto egoico.
Il poeta Robert Bly nel suo “Piccolo libro dell'Ombra”(11) cita William Blake, l'artista che: “andò a caccia del suo materiale Ombra con tre discipline: pittura, musica e linguaggio” e che affermava un concetto molto interessante: “Nessuno che non sia un artista può essere cristiano” (...) “Intendeva dire che chi si rifiuta di accostarsi attivamente alla propria vita per mezzo del linguaggio, della musica, della scultura, della pittura, del disegno è uno scarafaggio in abiti umani, non è un essere umano”(12)
Come già evidenziato da Freud e da Jung infatti, il lavoro artistico e creativo in generale va ad aiutare lo sviluppo positivo di tutti quegli aspetti di noi che nell'Ombra rimangono occultati.
Ci sono ancora due aspetti che Josipovici ci presenta e riguardano la “considerazione”. Essa ha due facce, una interna e l'altra esterna.
La considerazione interna è nefasta: chi ne è affetto non tiene in nessun conto gli altri, calpesta il prossimo, perde il senso dei valori e del limite, mentre la considerazione esterna invece non solo si mette al posto degli altri ed è capace di rispettarli e di coltivare buone relazioni, ma è anche capace di lasciare da parte i propri desideri per recepire i desideri dell'altro.
“Generosità significa allora: non voler niente per sé. E significa distribuire non più i soli beni materiali, ma offrire il cuore, il pensiero, obbedendo ad un impulso spirituale” (13)
Sembrerebbe evidente quindi che qualora non si abbia la volontà di assolvere neppure in minima parte ai propri doveri e si sopravviva schiacciando il prossimo, sia inutile poi reclamare a gran voce i propri presunti diritti.
Ma le cose nella realtà non stanno così.
Doveri e diritti
Claudio Bonvecchio nell'Introduzione al suo libro “Apologia dei doveri dell’uomo” (14) sottolinea:
“La nostra è una società di diritti e non di doveri” (15) “(...) Da parte delle istituzioni – che solitamente sono le prime a disattenderli – si è avviata da anni una ipocrita campagna di iperinformazione sui diritti, contribuendo alla costruzione di una vera e propria “selva” di diritti, spesso tra loro sovrapponibili, intersecantesi e confliggenti”.(16)
(…) “E dei doveri? Neppure una parola, un accenno, un riferimento. Persino il termine stesso – allontanato da un moto di stizza dai più – suona estraneo se non stonato, in questo concerto tutto accordato sulle note dei diritti.(17)”
Bonvecchio evidenzia quanto il tema dei diritti dell’uomo rappresenti “uno dei più rilevanti corto circuiti della modernità” (18) e sottolinea quanto il “trattare dei doveri dell’uomo sia un compito sicuramente arduo, ma soprattutto a rischio (…) in quanto a nessuno è gradito, oggi più che mai, il richiamo alle proprie responsabilità”. (19)
La diffusa de-responsabilizzazione che ne deriva è davanti ai nostri occhi ogni giorno.
Rapporto tra cittadino e istituzioni
Un ulteriore grave problema che riguarda la responsabilità morale nella nostra società è messo in particolare evidenza da Agnes Heller (20) che riprende il pensiero di Niklas Luhmann in merito al fatto che “all'interno delle istituzioni sociali funzionaliste non agiamo in modo moralmente significativo” (21): “quando si entra nelle istituzioni razionalizzate, ciò che si fa inevitabilmente, non si scelgono norme, ma ci si sottopone a regole preesistenti. Queste sono date per scontate e non vengono esaminate alla luce di determinati standard morali. (…) Una larga parte delle nostre azioni all’interno delle istituzioni sono diventate moralmente indifferenti e non moralmente razionali” (22)
Heller sottolinea la nostra “tendenza a vivere in un limbo morale” (23). La scelta del singolo – secondo Heller - dovrebbe essere invece quella di dare “al punto di vista morale la preferenza rispetto a qualsiasi altra ragione (pragmatica). (24)
Ribadendo che “La scelta esistenziale dell'onestà (della virtù) è la sola scelta morale razionale” (25)
“Per questo motivo - scrive Heller - (…) le persone oneste oggi (…) dovrebbero anche sviluppare le virtù del cittadino come tutte le altre virtù che praticano. Esse devono desiderare che le norme che contraddicano le massime morali non siano valide per nessuno.” (26)
Tutto ciò implica una costante allerta e un costante impegno da parte del cittadino. Viviamo in un mondo di valori perduti, in una società liquida (come la definì Zygmunt Bauman) in cui l'essere umano ha perduto la sua dignità e, obnubilato, è ridotto a merce.
Heller ci “richiama al dovere”: “(...) talvolta dovremmo fare cose che non amiamo fare o scegliere vincoli umani che probabilmente non sceglieremmo in un mondo libero dal dominio. Appartiene alla qualità della bontà oggi, poiché appartiene alla qualità del buon giudizio, sapere esattamente quando il dovere ci chiama”(27)
La virtù del coraggio
Una delle piaghe che la nostra società sta attraversando in quest'epoca è la perversione morale:
“La perversione non nasce da un disturbo psichiatrico, ma da una fredda razionalità associata all'incapacità di considerare gli altri come esseri umani.”(28)
“(...) provoca danni considerevoli nelle famiglie, spezza i legami e distrugge ogni individualità, senza che se ne acquisisca consapevolezza. I perversi sanno contraffare così bene la loro violenza da riuscire spesso a dare di sé un'ottima immagine (...) Il processo discreditante può venire attuato in modo ancora più perverso facendo agire un terzo (…) anch'egli condizionato a sua insaputa.”(29)
La nostra società si dimostra cieca di fronte alle molestie morali, alla violenza psicologica, alle aggressioni, alla manipolazione, etc... e spesso lo fa sbandierando il pretesto della tolleranza.
Siamo tolleranti davanti a crimini e reati ma dimostriamo intolleranza davanti alle regole, canoni, norme o limiti un tempo fissati dai precetti morali e religiosi che guidavano (o avrebbero dovuto guidare) le nostre vite.
Oltre che di perversione morale soffriamo evidentemente anche di degrado spirituale.
Buonismo, perdonismo, deresponsabilizzazione del colpevole, colpevolizzazione della vittima, impunità, etc... derivano quasi sempre dalla compiacenza dell'ambiente circostante.
In tal modo si può quasi sempre procedere impunemente. Si tratta di tecniche volte ad annientare, ma con gradualità: "squalificare, screditare, isolare, angariare, spingere l'altro in errore, aggredire, fino all'abuso di potere e oltre...”( 30)
Il “mobbing” infatti, il “terrore psicologico sul luogo di lavoro” - come spiega Harald Ege - è una tattica in cui l'obiettivo dell'aggressore “non è solo quello di emergere ma di distruggere totalmente l'avversario” (31) mentre esistono “violenze subdole” - scrive Lella Menzio - che sovente non si vedono sul corpo ma che feriscono profondamente l'anima, la personalità, la dignità”. (32)
Alexis Carrel, premio Nobel per la Medicina nel 1912, nel suo testamento scientifico e morale “Riflessioni sulla condotta della vita” (33) ha scritto a lungo in merito al principio di conservazione:
“Prima di tutto il rispetto della vita. (…) E' vietato non solo distruggere la vita ma anche ostacolarla, soffocarla, renderla dolorosa, alterarne la qualità (…)” (34)
E delle modalità con cui si attenta a tale principio:
“lo scherno continuo, la maldicenza, la calunnia sorniona, l'odio, la diffamazione, lo sprezzo” che “feriscono profondamente coloro che ne sono vittime, distruggono la tranquillità della loro esistenza, diminuiscono spesso definitivamente ai loro occhi il valore della vita”(35)
Carrel considerava “lo sviluppo intellettuale e quello morale ugualmente necessari” ma ribadiva che “l'atrofia morale attira su di noi calamità più irrimediabili che l'atrofia intellettuale”(36) e che il senso morale è “altrettanto indispensabile di quello della vista o dell'udito (...)” (37)
“E' peccato odiare il vicino - scriveva Carrel - perchè l'odio distrugge il corpo e lo spirito”. (38)
E ricordava altresì che la Chiesa, “con la sua esperienza venti volte secolare mette a ragione, in capo alla strada ascendente l'esame dei difetti, la purificazione dei sentimenti e dell'intelligenza, e la volontà di progresso morale”. (39)
In estrema sintesi, Carrell si rivolge sempre alla coscienza e alla consapevolezza dell'individuo e alla sua capacità di comprendere e conoscere la realtà fondandosi innanzitutto sul senso del dovere morale:
“Davanti a chi compie perfettamente il proprio dovere d'uomo si dischiude sempre la via della felicità. Su questa via regale sono invitati indistintamente a camminare i poveri non meno dei ricchi, i malati e i deboli non meno dei forti, gli increduli e i credenti.
E se accolgono l'invito sono certi compiere la loro missione, di essere partecipi della sublime opera di evoluzione, di accellerare l'avvento del Regno di Dio sul mondo terreno.
E di ottenere, per di più, tutta la felicità compatibile con la condizione umana.”(40)
NOTE
1.Marco Aurelio “La libertà interiore” - Oscar Mondadori, Milano, 2011 – pag.78 - (Introduzione di Silvio Raffo). I brani del libro sono tratti da Marco Aurelio “Pensieri”, a cura di Maristella Ceva, Mondadori, Milano, 1989.
2.Josipovici, Jean “Iniziazione alla felicità” - Edizioni Mediterranee, Roma , 1982
3.Ibidem pag. 12
4.Ibidem pag. 15
5.Ibidem pag. 22
6.Ibidem pag. 28
7.Ibidem pag. 28
8.Ibidem pag. 29
9.Ibidem pag. 31
10. Ibidem pag. 32
11.Robert Bly “Il piccolo libro dell'Ombra”- Red Ed. Milano – 2010 - Prefazione di Claudio Risé – tit.orig. A Little Book on the Human Shadow, HarperCollins, N.Y.- trad. Augusto Sabbadini (Shantena) – 1988 - Revisione redazionale di Tiziano Casartelli
12. Ibidem pag. 67-66
13. Josipovici, Jean- op. cit. pag.42
14. Bonvecchio, Claudio “Apologia dei doveri dell’uomo” - Asefi Editoriale srl – Milano, 2002
15. Ibidem pag. 11
16.Ibidem pag. 12
17.Ibidem pag. 13
18.Ibidem pag. 72
19.Ibidem pag. 21
20.Agnes Heller “Le condizioni della morale. La questione fondamentale della filosofia morale” - Ed. Riuniti – 1985 - tit. orig. ‘The basic question of moral philosophy’ 1984 - traduzione di Vittoria Franco.
21. Ibidem pag.40
22. Ibidem pag.41
23. Ibidem pag.42
24. Ibidem pag.43
25. Ibidem pag.55
26. Ibidem pag.64
27. Ibidem pag.65
28. Marie-France Hirigoyen “ Molestie morali – la violenza perversa nella famiglia e nel lavoro” - Einaudi, Torino – 2000 - traduzione di Monica Guerra (tit.orig.Le harcèlement moral: la violence perverse au quotidien) - Introduzione pag.XIII
29.Ibidem pag.44
30.Ibidem cfr. pagg.65-69
31. Harald Ege “Il mobbing, ovvero il terrore psicologico sul posto di lavoro, e la situazione italiana.” - sta in “Marie-France Hirigoyen “Molestie morali” - op.cit. - pag. 239
32. Lella Menzio “La violenza intrafamiliare: un'esperienza italiana” - sta in “Marie-France Hirigoyen “Molestie morali” - op.cit. - pag. 221
33.Alexis Carrel “Riflessioni sulla condotta della vita” - Bompiani, Milano, 1953
34. Ibidem pag.135
35. Ibidem pag.136
36. Ibidem pag.110
37. Ibidem pag.156
38. Ibidem pag.116
39. Ibidem pag.160-161
40. Ibidem pag.287