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Il Canto e la sua Essenza
a cura di Tito Del Bianco
Attraverso la musica – scriveva Schopenhauer - parla l'essenza stessa delle cose: essa è un'arte ispiratrice che dà testimonianza dell'aldilà, collega l'uomo all'Eterno, libera la sua anima e le concede di congiungersi con l'Ideale, il regno della purezza, della perfezione e della libertà.
Rudolf Steiner nella sua "Essenza della Musica" (1) riteneva la musica l'arte dell'avvenire, alla quale saranno assegnati grandi compiti per l'ulteriore evoluzione dell'umanità.
E' la musica infatti il veicolo artistico, che dovrà preparare qualcosa di nuovo, la comprensione di una Realtà oggi ancora inaccessibile all'uomo, nel suo attuale stadio evolutivo.
Ma la musica, come noi la conosciamo, è solo una pallida ombra di quell'Arte che caratterizzerà il futuro, e la nostra epoca, con l'avvento dei registratori e la 'meccanicizzazione' della musica, costituisce invece in sè - come riteneva Steiner - un'involuzione , un degrado, il sintomo di un attacco di potenze nemiche dello spirito contro la necessaria evoluzione umana: il meccanizzare la musica è ucciderla, perchè essa deve vivere nello spirito e non morire nella materia.
La 'musica del futuro' dovrà necessariamente essere molto diversa dal concetto d'arte dei suoni a cui siamo ora abituati.
Essa diventerà la trasmissione di un messaggio evolutivo, non servirà più a 'distrarre', ad ottenebrare ancor più del consueto la coscienza dell'uomo, (cioè non servirà al 'divertimento' nè sarà autoreferente) ma potrà 'ricreare', 'ricostruire' il nostro interno.
La musica del futuro porterà il suono alla soavità e non più all'espressione di emozioni negative (come avviene spesso nel melodramma). Essa non potrà più essere confusa, come avviene oggi, con quella fonte di depravazione e di abbruttimento, che essa assume nella nostra epoca in talune sue deprecabili manifestazioni. Essa sarà fonte di istanze e valenze esclusivamente positive, poichè sarà cessata quella involuzione spirituale, morale e sociale che passa oggi (anche) attraverso la musica - nei ritmi, nelle urla e nella negazione del canto - e che caratterizza certe espressioni musicali contemporanee.
Il Canto, lo strumento voce, potrà essere il veicolo privilegiato della musica del futuro, perchè è l'uomo stesso ad essere dotato naturalmente di sensibilità e di emozione per il suono: attraverso il suono si avvicina a Dio e la musica e il canto sono un modello di poesia e di preghiera.
Il cantante dovrà avere una natura mistica, incline al divino, e scoprire nell'anima della musica gli organi adatti ad esprimere valori sonori qualitativamente belli e puri, come quelli di un usignolo.
Ma certi traguardi sono purtroppo ancora lontani: oggi - in questo ciclo di ‘involuzione’ - filisteismo e materialità deturpano ancora l'arte del canto, forse più di un tempo in mano ai mestieranti.
La menzogna viene diffusa come conoscenza tecnica, troppi sono i sedicenti maestri che si illudono di poterlo insegnare, perchè l'esercizio di quest'arte non potrà mai essere disgiunto dalla Ricerca dello Spirito.
Anche Giuseppe Verdi, come tutti i grandi compositori, era un ricercatore esoterico: nella sua musica è l'Archetipo stesso a parlare e a condurci dal transitorio all'Eterno.
Verdi aveva la capacità di farsi raggiungere da questa visione, e di attingere all'Altra Realtà che giungeva dallo Spirito, di sintonizzarsi nel mondo mentale del 'devachan' all'universale e al cosmico, al grembo della Conoscenza, attingendo da questa quanto vi era di più affine alla sua percezione.
Verdi attinge al misticismo poichè la sua opera è testimone di una continua crescita, sia nello stile che nella qualità, ricercando la perfezione, l'autocritica e il continuo riesame. Come Goethe per il suo Faust, anche per Verdi vi è un cammino in progressione, per impegno e profondità, durato la sua intera esistenza.
Egli aveva una chiarissima idea della poesia nell' 'opera in musica': sintetica e perfetta nella dizione, immediata nella cadenza e nell'espressione. Goethe, nel suo 'Viaggio in Italia', annotava che nelle opere create secondo leggi naturali, e cioè riunendo ordine, misura ed armonia, l'Arte diviene "necessità, Dio stesso che parla".
Il Canto dovrebbe ritrovare quindi la sua 'funzione sacra', e il cantante il suo ruolo di 'ricercatore dello Spirito', di 'iniziato', capace di rappresentare e trasmettere con la sua voce il messaggio divino.
San Clemente di Alessandria (III sec.) riteneva che il corpo dell'uomo dovrebbe essere considerato il luogo deputato per lasciar cantare il Verbo divino:
"Il Verbo divino (...) avendo disdegnato lira e cetra, strumenti inanimati, e avendo posto in armonia con lo Spirito santo questo nostro cosmo e anche il piccolo cosmo, cioè l'uomo, l'anima e il corpo di lui, suona a Dio per mezzo di questo strumento dalle molte voci e canta con lo strumento che è l'uomo: “Tu infatti sei per me cetra, flauto e tempio”. Cetra per l'armonia, flauto per lo Spirito, tempio per il Verbo, affinchè l'uno suoni, l'altro spiri, l'altro ancora accolga il Signore (....) Bello fece il Signore il suo strumento vivente, l'uomo, lo fece a Sua immagine; egli è strumento di Dio, strumento tutto armonioso, bene accordato e santo (...) celeste lògos"(2)
La musica è portata dalle varie intensità vibratorie insite nelle energie sottili del cosmo e diviene pura luce.
Se le espressioni artistiche della nostra cultura sono ancora indissolubilmente legate al nostro attuale stadio evolutivo e quindi alle emozioni negative, la musica del futuro dovrà trarre il suo modello dal vivo mondo spirituale, dovrà essere un'immagine spirituale trasposta nella materia, e questo processo - che ora avviene incoscientemente - dovrà divenire cosciente nel pensiero di ognuno, quando l'umanità sarà in grado di ottenere la continuità di coscienza nel sogno e di ricordare la luce e il colore dell'Astrale e il mare fluttuante di suoni del ‘Devachan’, dove dimora l'Archetipo spirituale della Musica.
1) Rudolf Steiner “L'essenza della musica e l'esperienza del suono nell'uomo” - Ed. Antroposofica, Milano, 1973
2) Clemente Alessandrino “Il Protrettico. Il Pedagogo” - Ed. Paoline, Torino, 1971, pag. 74 e ss.