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Oltre la mistificazione pseudopedagogica,

l’amara e dolorosa misantropia di Jonathan Swift

di Manlio Tummolo

Parte prima

 

 

“Ho odiato sempre tutte le nazioni, le professioni e le comunità. mentre tutto il mio amore è per i singoli individui. Odio, per farti un esempio, la genìa degli avvocati, eppure amo questo o quel cancelliere, questo o quel giudice, così come posso dire dei medici (per non parlare di quelli che esercitano la mia professione), dei soldati, francesi, inglesi, scozzesi e tutto il resto; ma soprattutto odio e detesto quell'animale chiamato uomo, sebbene ami di cuore Pietro, Giovanni, Tommaso, e così via. Questo è il sistema che da molti anni ho preso a guida della mia esistenza e intendo proseguire su questa strada finché l'avrò fatta finita con loro. Ho raccolto del materiale per un trattato col quale intendo confutare la falsa definizione di uomo come “animal rationale”, e dimostrare che esso può essere soltanto “rationix capax”.

Swift a Pope (1725)

 

“Ma non mi regge il cuore a proseguire con questa ironia, perché è chiaro che qualsiasi viaggiatore, il quale intraprenda un tale viaggio <in Irlanda> , penserebbe di trovarsi in Lapponia e in Islanda, piuttosto che in un paese così favorito dalla natura come il nostro, sia nella ubertosità nel suolo, che nel clima. La generale desolazione di gran parte del regno. Le antiche residenze nobiliari di campagna tutte in rovina, né altre nuove al loro posto. Le famiglie dei fittavoli costretti a pagare pigioni esose, che vivono nella lordura e nella sporcizia, di siero di latte e di patate, senza scarpe né calze; né una casa che li riceva paragonabile almeno ad un porcile inglese.”

Swift, "Sulla condizione dell'Irlanda" (1727)

 

“In politica gli scritti dello Scriblero -pseudonimo di Swift, fondatore con Pope ed altri dello Scriblerus Club - sono di stampo particolare e per la maggior parte ironici; il loro procedere è spesso così raffinato, da correre il rischio di venir malinteso da volgo. Una volta si spinse tanto in là, da scrivere una proposta perché la gente si decidesse a mangiare i propri bambini, il che fu così poco capito da essere preso sul serio''.

"Ricordi di Marcino Scriblero", di Pope ed altri.

 

(I testi sopra citati e quelli nell'ultima parte della conferenza sono riportati dall'Edizione BUR, a cura di Attilio Brilli, 2000. I brani dei "Viaggi. di Gulliver" sono tratti dall'Edizione Garzanti, sempre a cura di Attilio Brilli, 1999)

Si è soliti dire che la via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni: per il momento non ho ancora avuto la ventura di andare a controllare, ma sono fortemente convinto che ciò, con molte probabilità, sia vero. Sono, infatti, sicuro che chi ha tentato ed è riuscito a far passare un autore così satiricamente feroce, come Jonathan Swift, per uno scrittore di favole per bambini, aveva la perfetta buona intenzione di fare un'opera pia, salvando l’anima in pericolo di Swift e di dargli una fama assai più bonaria. Devo dire che la prima volta che lessi una ridottissima versione dei "Viaggi di Gulliver", ero un bambinetto di 9 anni: ero stato da poco operato per un'appendicite e mio padre, per riempire gli ozi della mia convalescenza mi aveva portato alcuni libriccini illustrati da leggere. Certamente la narrazione, edulcorata, dei primi due viaggi, a Lilliput e a Brobdingnag mi piacque, ma senza particolari entusiasmi. Studiando poi letteratura per l'infanzia all'Istituto Magistrale, venni a sapere che, quantunque ridimensionato ad autore per bambini, Swift era in realtà uno scrittore satirico e ci fu spiegato che, vendetta della sorte, egli invece odiava i bambini. Più avanti, dopo la laurea, ebbi l'occasione di leggere in biblioteca i "Viaggi di Gulliver", sempre limitatamente ai primi due, ma in un'edizione integrale o quasi. Sicché ebbi modo di apprezzare lo stile satirico dell'Autore. Va detto che io, in generale, apprezzo molto la satira, perché è sempre stato un modo di far capire errori, colpe o difetti umani, senza infierire troppo con toni da predica.

Solo in tempi piuttosto recenti (confesso che non sono particolarmente esperto di letteratura, e tantomeno di quella britannica), lessi un'edizione integrale dell'opera di Swift, scoprendo altresì che i viaggi di Gulliver non erano stati soltanto due, ma ben quattro e che questi viaggi in realtà sono un continuo crescendo dal semplice umorismo di tipo anglosassone ad un ben più feroce sarcasmo, e da un'amabile presa in giro dell'uomo all' espressione di una misantropia sempre più accentuata.

Ho fatto questa breve esposizione della mia autobiografia culturale, per premettere alcune considerazioni di carattere educativo e pedagogico: mostrare ai bambini una qualunque realtà in modo troppo ottimisticamente mimetizzato, può essere spesso, se non sempre, un modo per convincerli che si può, o addirittura si deve, falsificare tale realtà a fini che diremo "politici", in senso assolutamente generale, ovvero allo scopo di facilitare il superamento di un qualunque ostacolo. Da qui deriva la tendenza a mistificare, ad usare troppo la propaganda, invece che l'esposizione quanto più esatta e corrispondente possibile alla realtà. Con queste operazioni mistificatrici, già nell'infanzia, si finisce per convincere il bambino, una volta che diventa adulto e si accorge che la realtà non è quella immaginata da piccolo, che è lecito falsificare ogni realtà, pur di raggiungere un qualunque scopo, e non sempre buono. Sicché la buona intenzione di trasformare Swift in un narratore di fiabe, finisce per abituare invece il giovane lettore, quando scopre il trucco, ad adottare in tutti i casi sistemi analoghi: in sostanza, un'operazione che aveva l’intenzione di risultare pedagogica ed educativa finisce per diventare assolutamente antieducativa e pseudopedagogica.

Nel caso specifico, ciò è dimostrato quando c'è chi ritiene che Swift fosse stato un crudele nemico dei bambini, un sostenitore del cannibalismo sui bambini, insomma una specie di orco. Vedremo come queste conclusioni non siano altro che il frutto di un'esagerazione, di un'erronea interpretazione letterale, e non in chiave ferocemente satirica, della descrizione di una realtà che Swift poteva constatare quotidianamente.

Di lui esamineremo "I Viaggi di Gulliver" e la sua terribile "Una modesta proposta”. Va anticipato che Swift, pur nato da genitori inglesi immigrati in Irlanda, nasce a Dublino, viene presto portato in Inghilterra, poi ritorna in Irlanda, vive con lo zio Godwin, ed aderisce fortemente alla causa irlandese, contro la politica colonialista e schiavista, adottata dagli Inglesi in Irlanda fin dai tempi delle guerre di Cromwell, fra la Prima e la Seconda Rivoluzione inglese, partecipando con molto vigore alla vita politica. Il suo spirito, espresso nel suo stile talmente forte da superare quello pur vigoroso di Voltaire, è pertanto molto più irlandese, che non inglese. Nulla infatti vi è in lui di compassato, se è vero poi che i Britannici siano effettivamente compassati, così come ce li immaginiamo, non solo in determinate occasioni, ma anche nella vita quotidiana. È facile comprendere come questo suo modo spregiudicato, ai limiti della crudeltà, di esprimersi, gli avesse suscitato parecchie ostilità ed una totale incomprensione. Ancora oggi, malgrado vogliamo farci passare per spregiudicati, non c'è alcun autore del Novecento che sia stato capace di mostrare il coraggio e la potenza non solo di Swift, ma di molti altri scrittori e pensatori dei due secoli precedenti.

Passiamo ora all'analisi dei quattro viaggi di Gulliver che possono essere considerati in una prospettiva particolare, logicamente coordinata: ovvero, Lilliput e la rivale Blefuscu rappresentano l'umanità vista, per così dire, dall'alto nelle sue guerre e lotte per motivi piccini; Brobdingnag rappresenta invece l'umanità consapevole della sua piccolezza, che si sente guardata dall'alto; Laputa rappresenta l'incontro con una civiltà tecnologicamente avanzata, a tal punto da preludere a concezioni critiche sulla tecnocrazia; infine il viaggio nell’isola degli impronunciabili Houyhnhnm (una sorta di nitrito che non so come si potrebbe pronunciare in inglese), che d’ora in avanti tradurremo con "cavalli sapienti'', e degli yahoo, altra sorta di nitrito che tradurremo con “uomini-bestia”, viaggio che rappresenta l'incontro con una civiltà moralmente superiore e non-violenta, con il risultato di indurre Gulliver a rifiutarsi di apprezzare il proprio e vecchio stato umano.

“I Viaggi di Gulliver” è preceduto da una presentazione ai racconti di un certo Richard Sympson che si dice lontano parente dei Gulliver, da parte di madre. Già in questa presentazione c'è un'aria vagamente ironica :

''... Prima di abbandonare Redriff, ,<Gulliver> mi ha affidati questi fogli, lasciandomi libero di disporne come meglio credessi. Li ho letti con cura tre volte e devo dire che rivelano uno stile chiaro e scorrevole; se l'autore ha un difetto, è quello di perdersi un po' troppo nei particolari, come accade ai viaggiatori. Eppure la verità alita su ogni pagina ed infatti l'autore stesso era talmente rinomato come persona veritiera, che era diventato proverbiale fra i suoi vicini di Redriff, i quali, per suffragare una loro asserzione, solevano aggiungere che era vera come se l'avesse detta Gulliver… ... mi accingo a farlo circolare fra la gente nella speranza che possa costituire ... un'attrattiva per i nostri giovani nobiluomini più proficua che non i soliti libelli politici e di partito. Il libro avrebbe dovuto essere il doppio di quello che è. Infatti ho avuto il coraggio di espungere parecchi brani concernenti i venti e le maree, le varie rotte... il governo della nave...”

L’editore Sympson, dopo aver elogiato la profonda veridicità di quanto scritto, toglie dal testo pubblicato tutto ciò avrebbe potuto aiutare altri navigatori a ritrovare le terre descritte. Riguardo poi alla verità di Gulliver, l'autore, finto editore, non mira tanto a quella dei fatti in sé, quanto evidentemente a quella dell'interiorità o alle verità celate nelle apparenti immagini.

Si comincia, quindi, col primo viaggio, quello che si conclude col naufragio e lo sbarco a Lilliput. Tale viaggio viene effettuato come medico di bordo, per necessità finanziarie, non essendo in buone condizioni economiche. Salpa così da Bristol esattamente il 4 maggio 1699. Questa è già un'occasione, per Swift, per descrivere le pesanti condizioni di vita dei marinai in quel tempo:

“... Secondo le misurazioni ci trovavamo a 30° e 2' di latitudine. Dodici membri della ciurma se n'erano andati per le fatiche sovrumane e il rancio avariato, il resto versava in pessime condizioni...”.

La nave si spezza ed in sei tentano di salvarsi su una scialuppa: siamo al 5 novembre. Una raffica capovolge la barca e Gulliver rimane solo e si salva a nuoto. Arriva infine sulla spiaggia e viene preso dalla stanchezza e dal sonno anche perché prima dell'abbandono della nave aveva bevuto quasi mezza pinta di acquavite. Quando si sveglia, com'è noto, egli si trova legato e immobilizzato da fili, che lo tenevano perfino nei capelli. Si accorge poi di essere bloccato da uomini alti intorno ai quindici centimetri. Un solo suo grido è talmente forte da farli scappare con conseguenze disastrose. Riesce a liberarsi un braccio e la testa (questa, non senza dolore perché si strappa i capelli). Perciò lo tempestano di frecce, il che lo convince a starsene tranquillo. L’intera popolazione dei Lillipuziani arriva ed assiste al discorso che un personaggio gli rivolge: non ne capisce quasi nulla, ma vede che il nanetto dimostra tutte le doti classiche dell'oratore. Cosi cerca di farsi capire a gesti che non ha intenzioni aggressive, ma che ha fame. Gli portano enormi quantità di cibo ma tutto di piccolo formato, in proporzione alle loro dimensioni. Per il momento non viene liberato, ma condotto con forte scorta. Swift, qui, mostrando il suo realismo, ci spiega un particolare, che poi si ripeterà in altra occasione, che lo farà andare in disgrazia. Gulliver deve orinare :

“... mi fu così possibile rigirarmi sul fianco destro per fare acqua in grande quantità fra lo stupore della folla, la quale, intuìto dai miei movimenti quel che stavo per fare, s'aprì in due facendo un bel largo per evitare il torrente che cadeva con tanto fragore e irruenza...”.

Con unguenti poi gli curano le ferite, riducendo il bruciore provocato da quelle che per lui sono solo piccole, ma fastidiose, punture. Durante il trasporto alla capitale, si riaddormenta, anche perché il vino era stato drogato con sonnifero, per tenere buono il "gigante" ed evitare altri rischi. Occorsero, dice Swift, ben 1.500 cavalli lillipuziani per trascinarlo alla capitale.

Rinchiuso in un antico tempio sconsacrato, e di nuovo Swift sottolinea con realismo un altro problema biologico di Gulliver:

"... Da diverse ore avvertivo sempre più impellente la necessità di liberarmi e non c'era da meravigliarsene perché non lo facevo da due giorni. Mi trovavo dunque alle strette fra il bisogno e la vergogna. La miglior cosa da fare fu di scivolare dentro casa, di inoltrarmi per tutta la lunghezza della catena e sgomberare il ventre di quel peso molesto. Questa fu l'unica volta in cui mi macchiai di un'azione tanto poco pulita e voglio sperare che il lettore imparziale mi considererà con indulgenza... In seguito fu mia costante abitudine di sbrigare tali faccende appena alzato e all'aria aperta, lontano quanto me lo permetteva la catena... Inoltre tutte le mattine... avevo preso la precauzione di fare portare via quella materia spiacevole da due servi... Non mi sarei tanto a lungo soffermato su un dettaglio che, a prima vista, può apparire trascurabile, se non avessi ritenuto necessario giustificarmi con la gente in fatto di pulizia personale, argomento sul quale... qualche maligno ha avuto da ridire sia in questa sia in altre occasioni....”.

Risolta questa esigenza, Gulliver viene osservato dall'imperatore di Lilliput e dai suoi familiari, compresa l'imperatrice e le sue dame. Sentite ora la descrizione del sovrano:

“... La sua statura supera quella di qualsiasi altro a corte, di quasi un'unghia <rimane in sospeso se un'unghia di Gulliver o un'unghia di lillipuziano...>, e basta questo a incutere reverenza...

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