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LE FORME ESTETICHE DEL DIBATTITO FORENSE
IN QUINTILIANO
di Manlio Tummolo
Ottavo Saggio per una Storia delle Teorie Estetiche
(Bertiolo - Udine, febbraio - marzo 2020)
PREMESSA
Marco Fabio Quintiliano è molto importante sotto diversi aspetti, in sede estetica, ma anche pedagogica e giuridica, nella storia romana del I secolo dopo Cristo, ovvero nel primo periodo dell’Impero Romano, eppure fortemente sottovalutato sia per la teoria giuridica (dalla quale appare ignorato), sia nelle teorie estetiche: dall’una teoria all’altra, egli viene escluso come semplice rètore o del tutto ignorato, il che costituisce un grave errore storiografico. Quintiliano, in vita, fu il primo a godere del “privilegio” di essere un docente “statale”, nel senso che veniva ottimamente stipendiato dall’amministrazione imperiale appunto per formare un’intera classe di docenti in Scuole pubbliche imperiali, di cui tra l’altro fu un forte sostenitore proprio nell’opera che esaminerò in questo Saggio, ovvero le “Institutiones Oratoriae” [1]. Sul piano pedagogico, devo notare che esso era conosciuto soprattutto negli Istituti Magistrali, per la storia della pedagogia e didattica ivi considerata essenziale, ed era studiata e tradotta dal latino negli esercizi che venivano fatti svolgere. Uno dei motivi che sia pressoché ignorato, se non nelle storie della letteratura latina, è proprio questo. Ma Quintiliano non è affatto il semplice rètore di certa tradizione, anche se - con procedura critica e filosofica, in polemica implicita con lo stesso Platone [2] - egli difese la retorica per la sua potenzialità di convinzione (secondo la classica attribuzione di un tale potere, rinverdita in tempi recenti anche da Chaim Perelman, e nondimeno contraddittoria, in quanto due o più stili retorici ugualmente forti dovrebbero annullare reciprocamente i loro effetti persuasori) [3]. Ma la sua difesa della retorica è tutt’altro che retorica, bensì razionale, argomentativa, e direi pure “filosofica”, nel senso – quest’ultima - secondo l’impostazione essenzialmente pragmatica della mentalità e cultura romana, rispetto a quella, più meditativa ed analitica, dei Greci. Ciò che conta è essenzialmente il risultato, piuttosto che le sole premesse o i mezzi teorici per raggiungerlo. Ma io direi che, come certo pragmatismo moderno è pur ammesso con piena dignità nella storia della filosofia, così lo meriti pure il pragmatismo romano .
Egli dedica l’intera opera a tale Marcello Vitorio (o Vitore, essendo il nome espresso in terza declinazione, non in seconda) e all’editore Trifone, ed ha la caratteristica di potersi considerare insieme opera didattica ed opera critica, destinata alla formazione dell’ oratore forense, ovvero - come diremmo oggi - dell’avvocato, sia in veste di difensore sia di accusatore (parte civile, da non confondersi con i pubblici ministeri d’oggi, che sono magistrati statali) [4]. Anche se vi sono teorie che vedono nel pubblico ministero una “parte” processuale, va tenuto conto che esso è un magistrato dipendente dallo Stato e da esso stipendiato, appunto perché - nel solo interesse pubblico della società e dei suoi Organi statali - indaghi in maniera imparziale, non faziosa, non nell’interesse di una delle parti in causa (di qui l’obbligo giuridico di cercare anche argomenti a favore dell’imputato, cosa che l’avvocato di parte civile non si cura di fare), in quanto ciò falserebbe in partenza la natura dei fatti .
La formazione dell’oratore forense parte dunque dalla fanciullezza, è una formazione completa, sia per la vastità degli interessi (le humanae litterae, tipiche dell’Umanesimo e del Rinascimento che, in parte, si ispireranno proprio a Quintiliano come modello pedagogico), sia per la sua estensione biografica: ciò accosta, sebbene lontane fra loro di circa 1700 anni, le “Istituzioni Oratorie” alla “Scienza della Legislazione” di Gaetano Filangieri, in quanto l’una e l’altra si occupano della formazione professionale, ma pure di educazione generale, del giurista, in specie dell’avvocato. La sottovalutazione o, finanche totale trascuratezza, nei confronti di quest’opera, da parte di giuristi e di storici del Diritto romano, comprovano quanto poco “scientifica” sia la mentalità giuridica, in una materia che dovrebbe essere multidisciplinare ed interdisciplinare, e non - come si rivela - unilateralmente settoriale .
Ovviamente qui, per la natura e finalità di questi miei saggi, della problematica estetica, e solo incidentalmente ed occasionalmente di altri argomenti .
DAL LIBRO I
Riprendendo l’antico detto di Marco Porcio Catone (il Maggiore), Quintiliano espone il suo piano di lavoro nell’opera in esame :
“ 9. Intendo formare quel perfetto [5] oratore che non può darsi se non in un uomo retto, e perciò esigo possegga, oltre a una straordinaria eloquenza, anche ogni virtù morale. 10. Infatti, io non potrei ammettere quel che pure alcuni hanno pensato: che una condotta di vita retta e onesta spetti esclusivamente ai filosofi, quando invece l’uomo davvero conscio della propria funzione di cittadino, idoneo ad amministrare gli affari pubblici e privati e… di guidare le città…, certo altri non è che l’oratore .
11. Così, pur riconoscendo che mi avvarrò di alcune idee… dei filosofi, tuttavia oserei affermare… che esse appartengono alla nostra materia e riguardano propriamente l’arte oratoria. 12. … se molto sovente bisogna dissertare sulla giustizia, la fortezza, la temperanza… e li si elabori stilisticamente, sarà forse in dubbio che ovunque si richiedano acume intellettuale e ricchezza d’eloquio, l’oratore gioca la sua parte specifica ?
13. Filosofia ed eloquenza, peraltro, come molto chiaramente conclude Cicerone [6], furono unite dalla natura e legate anche dalle funzioni, per cui agli occhi della gente filosofo e oratore coincidevano. Poi l’attività intellettuale andò suddividendosi, e a causa dell’indolenza… accade che le discipline sembrassero più d’una…” [7] .
Quintiliano, quindi, approfondisce ciò che ho già anticipato nella Premessa, ovvero il suo pragmatismo che afferma la moralità del discorso e dell’azione, non nelle semplici auto-dichiarazioni intenzionali, ma nell’operare concreto, così per i filosofi, altrettanto per gli oratori politici e forensi, non in questioni specifiche ma di cultura generale multidisciplinare, da non confondere con la conoscenza generica e superficiale. Egli, infatti, aggiunge più avanti :
“… 25. Io, dunque, in questi dodici libri non ho adottato la visione ristretta della retorica che è cara alla maggior parte dei trattatisti, ma ho riportato qualsiasi elemento mi paresse utile alla formazione dell’oratore… 26. In primo luogo bisogna dichiarare, comunque, che regole e trattati teorici non servono a niente se manca l’aiuto di una predisposizione naturale…” [8].
Come sempre e in ogni campo di conoscenza, senza attitudini naturali, si può riuscire a poco, così nella coltivazione dei campi, come nell’arte del discorso. Servono dunque voce, polmoni, buona salute, ma anche un maestro esperto e un esercizio costante. Interessante è, dal punto di vista della psicologia pedagogica, un’osservazione che fa poco più avanti: ovvero, che tutti hanno, capacità di apprendere, nessuno può essere escluso dall’insegnamento, perché ragionare ed apprendere è del tutto connaturato alla natura umana [9] . Ancora: è importante nella formazione dei ragazzi un alto livello di cultura dei genitori, ed elogia Cornelia, madre dei Gracchi, come educatrice delle capacità di Tiberio e Gaio, così come Lelia od Ortensia. Egli, in sostanza, sottolinea la necessità che l’intero ambiente familiare (quindi, anche gli schiavi pedagoghi) siano di buon livello culturale. Seguono poi molte considerazioni di natura didattica, alcune delle quali sviluppate dalla pedagogia più moderna, ma che qui sorvoliamo, dato il tema essenzialmente estetico che mi sono proposto. Interessante comunque quanto dice sulla multi- e interdisciplinarità della formazione anche nei più giovani alunni :
“ IV. 4. Né basta leggere i poeti: bisogna compulsare ogni genere di scrittori, non soltanto per i contenuti, ma anche per il lessico, poiché le parole sovente traggono autorità dall’uso degli autori. La grammatica, inoltre, dovendo trattare di metri e di ritmi, non può essere completa… se prescinde da nozioni di musica; ugualmente, ignorando l’astronomia, non riuscirebbe a capire i poeti, i quali (…) tante volte ricorrono al sorgere e al tramontare degli astri…; infine, bisogna che non rimanga nemmeno digiuna di filosofia… perché quasi tutte le opere poetiche in moltissimi passi si rifanno a questioni naturali…” [10], così come vari filosofi, e non solo i presocratici, scrissero opere di filosofia in versi (e ricorda Empedocle, Varrone, Lucrezio).
Interessante ancora, e di grande attualità nei nostri tempi in cui si abusa di anglicismi spesso mal pronunciati o in modo irregolare, la critica che fa ai barbarismi e solecismi [11], più avanti ancora si occupa della giusta pronuncia degli accenti . Prosegue poi con l’apprendimento della lettura a voce alta, in modo significativo, proprio al fine di preparare la metodologia professionale e matura del discorso oratorio :
“VIII. 1. Rimane la lettura. In essa, non si può ricorrere che alla dimostrazione pratica perché il ragazzo impari dove trattenere il fiato, in quale punto fare una pausa all’interno del verso, dove si concluda e dove inizi il pensiero, quando alzare e quando abbassare la voce, che cosa dire con le varie inflessioni, cosa più lentamente, cosa più velocemente… 2. Qui darò un consiglio soltanto: per poter fare tutto quanto ho elencato, il fanciullo deve capire ciò che sta leggendo [il che è la condizione primaria per farlo capire a chi ascolta].
Anzitutto, la lettura dei versi sia virile e di una gravità non priva di dolcezza; non somigli alla lettura della prosa, poiché trattasi di canto, e i poeti dichiarano di cantare; non si scomponga tuttavia in cantilena, né venga resa effeminata dai gorgheggi, come è di moda oggi…” [12] .
Quintiliano propone, per i fanciulli e ragazzi, testi di eloquenza, come modelli, ma che siano anche moralmente istruttivi. Quali autori cita Omero, Virgilio, i tragici e i lirici. Il fanciullo deve elevarsi grazie al canto eroico. Non approva così l’elegia, per gli alunni, mentre è favorevole alle commedie. Per l’oratoria propone Cicerone ed Asinio Pollione. Il grammatico deve anche sottolineare i difetti, grammaticali, sintattici o stilistici, dei testi che esamina, avviando così i discenti ad una metodologia critica. Egli dedica un certo spazio anche alla musica, indicandone il valore educativo (cita a questo proposito, oltre ai mitici Orfeo e Lino, Pitagora, Socrate, Platone, Archita, Eveno, Aristofane, Menandro, e gli stessi sacerdoti Salii, romani) .
Credo che sia interessante, in un sito come il presente, citare alcune delle considerazioni che Quintiliano presenta sulla musica, anche per capire meglio la natura della musica antica, di cui - ovviamente - non abbiamo documenti precisi :
“X. … 22. Ma ora vediamo che cosa il futuro oratore chieda specificamente alla musica.
La musica ha due ritmi, uno riguarda la voce, l’altro il corpo: nell’impiego dell’una e dell’altro, infatti, è richiesta una misura appropriata. Per la voce, il musico Aristosseno opera una suddivisione in rhytmòs e mélos, dei quali l’uno consiste nella cadenza, l’altro nella melodia e nei suoni. E dunque l’oratore non ha forse bisogno di tutti questi requisiti? Il primo di essi concerne il gestire, il secondo la disposizione delle parole, il terzo le inflessioni della voce, che sono svariatissime anche nel corso di un’orazione. 23. A meno che, magari, soltanto in poesie e canti si esigano una certa struttura e armonia nella combinazione dei suoni, elementi inutili, invece, in un’arringa; o a meno che nei discorsi costruzione e suoni non mutino accordandosi ai contenuti, come invece accade nella musica. 24. Essa infatti, grazie a melodia e ritmo, canta i soggetti grandi solennemente, dolcemente quelli gradevoli, pacatamente i normali, e si adegua con tutta se stessa ai sentimenti provocati dai temi trattati. 25. Ebbene: anche durante i discorsi alzare e abbassare la voce o mutarne l’inflessione serve per suscitare sentimenti nell’uditorio…” [13].
Sulla relazione tra musica ed euritmia, nella musica e nella pronuncia di un discorso, ricorda quanto narra Plutarco: il tribuno Gaio Gracco, molto appassionato come il fratello nei discorsi al popolo, era solito farsi accompagnare da un musico che, intonando uno strumento a canne (tonarion), gli dava - diremmo noi - il la, per impostare la migliore intonazione, regolando poi tono ed altezza. Come aveva detto per i testi da proporre ai giovani, Quintiliano rigetta la molle lascivia in uso a quei tempi (che direbbe del rock ?), proponendo invece ciò che ispira valore, quindi direi canti e musica epici .
DAL LIBRO II
Nel Libro II, Quintiliano tratta soprattutto aspetti didattici, approfondendo quanto era stato spiegato a scopo propedeutico nel Libro I. Sorvolo dunque su parecchi temi, per non dover ripetere cose già osservate. Mi pare tuttavia necessario qui sottolineare l’indubbia profondità ed, anche, attualità di certe cose che afferma sulle capacità di eloquio, da non confondere tuttavia per nulla con le vere capacità oratorie che, come si è detto, necessitano di un buono e spesso alto livello di cultura :
“ XII. 1. Davvero non potrei negare neppure questo: di solito, a quanto ho esposto tien dietro l’opinione secondo cui i non colti sembrano possedere una maggior efficacia oratoria: ciò si verifica, anzitutto, per errore di coloro i quali… credono esservi più forza nei discorsi privi di arte [paragona costoro a quei tifosi del Circo che ritengono più forti i gladiatori senza addestramento, che si gettano nello scontro consumando subito le forze nel primo impeto, per farsi poi eliminare subito]…
3. … D’un lato la divisione della materia, pur tanto importante nelle cause, fa sembrare meno vigoroso il discorso, e dall’altro le espressioni rozze sono ritenute di maggior peso rispetto a quelle ricercate…
4. C’è poi una certa affinità fra pregi e difetti, per cui l’oratore maldicente vien preso per sincero, il temerario per coraggioso, il prolisso per facondo. L’ignorante, d’altronde, cede più apertamente e più spesso alla … maldicenza…
6. Gli ignoranti talvolta sembrano possedere una migliore facondia anche perché dicono di tutto [confronta certo attuale giornalismo e certo materiale su INTERNET]; le persone colte invece scelgono e sanno misurarsi. A ciò si aggiunge che gli incolti non si curano di spiegare quanto hanno sostenuto… non ricercano altro che quanto possa blandire l’orecchio degli ascoltatori… 7. Le stesse massime, l’unico pregio a cui tendono, spiccano maggiormente poiché intorno a loro tutto è squallido e pedestre, come le luci risplendono meglio… nella tenebra profonda…
9. Gli ignoranti cercano tuttavia fama di oratori più efficaci anche attraverso il modo in cui porgono il discorso; infatti gridano ovunque, e muggiscono ogni frase … gesticolando animatamente e muovendo la testa come matti …” [14] .
In effetti, i ciarlatani e gli imbonitori fanno, anche nei tribunali, una gran mimica e pantomimica, battono le mani, pestano i piedi, urlano sempre e in modo scomposto, ma quanto al convincere sono pressoché a zero.
A partire dal Capitolo XIII del Libro II, Quintiliano passa dall’aspetto didattico della formazione dei giovani all’analisi vera e propria del tema centrale, ovvero l’arte oratoria professionale di natura giudiziaria. La prova che l’intenzione di Quintiliano non è semplicemente di esposizione tecnica, ma di un’analisi critica, è data all’inizio del Capitolo XIII :
“ 1. Nessuno esiga da me quel genere di precettistica tramandata dalla maggior parte degli scrittori tecnici per cui a chi studia retorica io dovrei proporre quasi delle leggi vincolate da immutabile necessità… 2. Sarebbe infatti disciplina e di poco conto, la retorica, se si riducesse a un solo, breve codice normativo; invece, la maggior parte delle regole muta a seconda dei moventi, delle circostanze, delle occasioni, delle necessità, e perciò un oratore deve soprattutto l’avvedutezza, cioè la dote di adeguarsi allo sviluppo delle varie situazioni…” [15] .
Paragona la strategia politico-forense di un oratore a quella di un comandante militare, che deve concepire piani flessibili, realizzabili in situazioni che variano continuamente. La regola essenziale è badare al contenuto, che non sia dispersivo, ma utile alla questione e, riferendosi alla posizione del corpo, si occupa perfino di statuaria e della pittura che presentano la figura umana nelle più varie condizioni:
“… 9. In effetti un corpo eretto ha pochissima grazia: il volto sarebbe certamente rivolto in avanti, le braccia sarebbero abbandonate lungo i fianchi, i piedi uniti, e… l’opera sarebbe rigida [come nello stile arcaico, greco o etrusco]. L’inclinazione e… il movimento danno invece un’idea di azione e di animazione… ci sono mille espressioni del viso. 10. Alcune figure corrono e si lanciano, altre stanno sedute o appoggiate, ora nude, ora coperte di veli… Che cosa è contorto ed elaborato quanto il famoso discobolo di Mirone ? Eppure, se qualcuno lo criticasse come poco regolare, non sarebbe forse lontano dal comprendere un’arte nella quale proprio l’originalità e la complessità meritano le lodi maggiori ?
11. Appunto una grazia e un piacere simili arrecano le figure di pensiero come di parola. Si discostano infatti un poco dalla normalità e presentano il pregio d’abbandonare la banale consuetudine espressiva. 12. In pittura, attrae l’intero volto… “ [16] .
Come nella pittura certi dettagli negativi del viso possono venire nascosti (ad esempio, una cicatrice su un lato, mostrando solo l’altro, oppure nascondendo il viso del padre di Ifigenìa Agamennone, non riuscendo a superare le espressioni di dolore di altri personaggi), così nell’oratoria è meglio alludere o tacere, quando la descrizione non riesce a cogliere la gravità reale.
“ 14. …. Per tutti questi motivi ho sempre avuto l’abitudine di vincolarmi il meno possibile ai precetti che comunemente chiamano katholikà, cioè… universali e perpetui… 15. … non voglio che i giovani si ritengano istruiti a sufficienza solo per aver imparato a memoria un manualetto…, né voglio che si credano al sicuro grazie… ai decreti degli specialisti. L’eloquenza è fatta di molta fatica, impegno assiduo…, infinite prove, cautela davvero profonda, prontissima avvedutezza….” [17] .
Prosegue poi col Capitolo XIV all’esposizione del piano dell’opera e alla definizione della retorica, citando molteplici autori e teorici della stessa. Alla fine, Quintiliano sostiene che la retorica debba essere : “… 34. … ‘ la retorica è la scienza del parlare bene’; definizione che infatti racchiude in una volta sia tutti i pregi dell’orazione, sia, contemporaneamente, le qualità dell’oratore, il quale certo non può parlare bene se non è onesto…” [18], con il che si ribadisce che il bello stile può essere convincente solo se accompagnato da un esempio concreto di vita onesta e seria: non si deve “predicar bene e razzolar male” . Nei Capitoli dal XVI al XIX, egli si pone alcuni interrogativi sulla natura della retorica, rispondendo con metodo analogo di confronto tra teorie e ipotesi diverse, se la retorica sia utile, se sia un’arte, di quali arti sia composta (ovvero, se abbia natura multidisciplinare), se vi prevalga la cultura o il talento naturale: per Quintiliano, il rapporto tra i due aspetti è analogo a quello tra il materiale usato dall’artista e la sua abilità. Il talento è la materia, la cultura ciò che le dà forma [19].
Più importante, a suo stesso parere, la questione se la retorica sia una virtù, che affronta nel Capitolo XX: “1. La seguente questione è più importante: la retorica va annoverata fra quelle arti medie che di per sé non si possono né elogiare né criticare,… utili o nocive a seconda delle qualità morali di chi se ne serve, oppure è una virtù, come credono anche moltissimi filosofi ?...” [20].
Dei modi che allora dominavano, nel discorso comune, egli distingue un’ atechnìa, ovvero assenza di ogni arte tipica del parlare volgare e plebeo di ignoranti, una kakotechnìa , ovvero un cattivo uso delle regole e delle forme dell’arte, ed una mataiotechnìa , ovvero l’inutile imitazione dell’arte, stilisticamente neutra, ma che esprime solo vana fatica (una sorta di impresa alla Sisifo) [21], come declamare per situazioni inverosimili. L’autentica retorica (il parlar bene di un uomo retto e colto) è invece virtù: “… 9…. è sicuro che l’uomo eccelle sul resto del creato grazie alla ragione e al linguaggio, perché non dovremmo credere che la sua virtù risieda tanto nell’eloquenza quanto nella ragione ? E perché, giustamente, in Cicerone Crasso direbbe ‘l’eloquenza è infatti una delle più alte virtù’, e Cicerone stesso in persona chiamerebbe l’eloquenza virtù… “ [22] .
Al Capitolo successivo, Quintiliano aggiunge :
“ … 4. Io ( e non senza l’autorità di predecessori) giudico materia della retorica tutti i temi che le saranno sottoposti per essere espressi. Infatti in Platone Socrate sembra dire a Gorgia che la materia della retorica non risiede nelle parole, ma nei contenuti, e nel Fedro dimostra chiaramente come la retorica stia non solo nei processi e nei discorsi pubblici, ma anche nei fatti privati e domestici; dal che risulta evidente che di questo avviso fu Platone stesso…” [23] .