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M. G. APICIUS “DE RE COQUINARIA”
a cura di Gianpaolo Dabbeni
Il De re Coquinaria, di cui esamineremo qualche passo, è un trattato che ci porta tra le cucine ed i triclinii della Roma ricca e fastosa, ove i piaceri della gola ci rivelano lo spaccato di un mondo ormai cosmopolita ed acculturato, un mondo che convive con la vociante folla dei marginali da un lato e la ristrettissima aristocrazia della sobrietà e dello stile. Questo trattato, che impone la moda di una raffinatezza nel preparare e nel rappresentare, se da un lato ottiene buoni esiti da un’ aristocrazia matura e decantata, rivela anche il pressapochismo faraonico dei vari Trimalcione o nuovi ricchi, ove l’immagine del lusso offusca il gusto delle cose originarie della terra, dell’acqua e del cielo.
La tradizione manoscritta ci perviene attraverso due codici antichi: il 275 della Collezione Phillips, a Cheltenham del sec. IX, scritto in parte in lettera minuscola carolina e in parte in lettera maggiore anglosassone, simile a quella che era in uso a Fulda. L’altro codice antico è il Vaticano Urbin. lat., 1146, del sec. IX, scritto nella minuscola propria del Monastero di Tours, che si trovava ad Urbino nella Biblioteca Ducale dei Montefeltro, prima di venire incorporato in quella Vaticana. (1)
Tralasciamo i vari studi fatti su questi codici e ci limitiamo a citare l’edizione critica di F. Vollmer “Studien zu dem roemischen Kochbuche von Apicius“ Monaco,1920 e la più recente “ Apicius, De re coquinaria “, edizione critica , traduzione italiana e note a cura di Aldo Marsili, Colombo Cursi editore, Pisa, 1957.
Il titolo dell’opera completo è Apicii, Librorum X, qui dicuntur de re coquinaria quae extant.
L’autore non si sa esattamente chi sia stato. Ma, fra i vari Apici ricordati dagli scrittori, uno è vissuto avanti Cristo e fu oppositore strenuo della legge Fannia che poneva limiti al lusso dei banchetti, un altro visse sotto Traiano e fu famoso per la conservazione delle ostriche che serviva al ghiotto imperatore. Ma il più probabile autore del testo, che diede inizio ad una nuova moda, fu Marcus Gavius Apicius, vissuto nel primo secolo, all’epoca dell’imperatore Tiberio e citato da Seneca e da Plinio il Vecchio. Marcus Gavius Apicius è una delle figure più singolari e romanzesche della cultura latina; si ritiene che la sua nascita risalga al 25 a.C. circa e pertanto doveva avere più o meno 40 anni quando Tiberio successse ad Augusto. Possedeva enormi ricchezze ed era assai conosciuto in tutto il mondo mediterraneo per le sue incredibili stravaganze gastronomiche. Alla sua fantasia si attribuivano piatti a base di talloni di cammello, di lingua di pavone o di usignolo, di creste di volatili tagliate ad animali ancora vivi.
Apicius era tanto ghiotto quanto crudele, al punto da ingrassare le oche con i fichi secchi e ucciderle poi, dando loro da bere del vino mielato; o soffocare le triglie direttamente in una salsa, il garum ( salsa di pesci marinati).Soprattutto voleva sempre soddisfare puntualmente la ricerca di prelibatezze; accadde ad esempio che in un suo soggiorno a Minturno, località situata tra la Campania ed il Lazio, dopo aver sentito lodare la grandezza dei gamberi libici, noleggiò immediatamente una nave e si recò in Libia per verificarne la veridicità. Tutto questo lusso sfrenato assottigliò la sua leggendaria ricchezza; per cui, quando si rese conto che avrebbe dovuto modificare il suo tenore di vita, perchè il suo patrimonio ormai ammontava a soli 10 milioni di sesterzi ( qualche miliardo di oggi ), si suicidò.
Nell’opera pervenutaci, che contiene circa 500 ricette, sono citate anche ricette che si riferiscono ad imperatori del I, II, III e forse IV secolo; ad esempio lo “stufato di piselli alla Commodo” porta il nome dell’imperatore morto nel 192 d.C.; altre ricette si riferiscono ad altri personaggi: Porcellum Flacianum, Pullum Frontonianum, Patellam Lucretianam, Haedum sive agnum Tarpeianum. 2)
La lingua dell’opera ricorda quella di un trattato veterinario, la cosiddetta Mulomedicina Chironis, attribuibile al IV secolo. Il che fa dedurre che un nucleo originario delle ricette risalga ad Apicius, persona di cultura elevata, che scrisse un trattato di arte culinaria destinato ai cuochi di professione e alla cucina signorile. Con ogni probabilità risalgono all’originale quelle ricette che riguardano le conditurae o salse, un settore della gastronomia nel quale Apicius senz’altro non aveva rivali. In una fase successiva, un altro autore adattò l’opera anche alle esigenze della cucina dei meno abbienti, aggiungendovi inoltre le indicazioni del peso, della misura e della quantità dei vari ingredienti. Questo autore visse verso il 400 d.C. e si servì di vari trattati greci e romani e del manuale di Apuleio per trarre le informazioni con le quali arricchì il nucleo originario, aggiungendo alle ricette per salse di Apicius, altre per bibite e cibi più comuni ed inoltre ricette dietetiche e mediche.
L’opera si divide in 10 libri, ciascuno dei quali ha un titolo greco che si riferisce al contenuto :
libro I , Epimelès, tratta della conservazione dei cibi; libro II, Sarcoptès, parla di polpette di vario tipo e carni battute; libro III, Kepuròs, contiene ricette di ortaggi; libro IV , Pandectèr, ci delizia con piattini freddi e antipasti ; libro V, Osprèos, piatti a base di legumi; libro VI , Tropètes tratta i volatili; libro VII, Politelès contiene ricette di interiora; libro VIII, Tetràpus tratta i quadrupedi; libro IX, Talàssa è il ricettario dei pesci di mare; mentre quello X, Alieùs, è quello dei pesci di fiume e di vivaio.
L’opera è scritta in una lingua che non è, sostanzialmente, come sostiene il Marsili, quella cosiddetta classica. (3)
Il garum, che abbiamo citato prima, è l’elemento fondamentale della cucina romana e di Apicius, poichè i cuochi dell’epoca, non disponendo di moderni frigoriferi, dovevano mascherare il sapore un po’ rancido dei cibi non più freschi, utilizzando varie salse composte con ingredienti che poco avevano a che vedere con la pietanza principale del piatto; ad esempio con l’aggiunta di salse di pesce o di frutta su ricette a base di carne. La più importante di queste salse era il liquamen o garum, una mistura ottenuta dalla macerazione sotto sale di interiora di pesce con olio, vino, aceto e pepe; si faceva riposare per una notte in un recipiente di terracotta, poi veniva messa all’aperto al sole, per due o tre mesi e si rimescolava di tanto in tanto, in modo da farla fermentare; quando la parte liquida si era ridotta per effetto del sole, si inseriva un cestino per filtrare; il liquido che colava era la parte migliore e cioè il garum, la restante parte, lo scarto, era l’allec, cioè la salsa secondaria. Il garum era di solito un liquido chiaro dall’aspetto dorato , che si conservava bene in anfore e veniva utilizzato in quasi tutti i piatti. L’industria del garum era molto sviluppata nel Mediterraneo; quello più pregiato veniva prodotto in Spagna e veniva importato via mare in anfore con marchio del produttore e anno di produzione. Anche la nostra penisola produceva questa salsa; il centro più importante di produzione era l’officina del garum degli Ombricii, a Pompei. Prestate attenzione che nelle ricette che esamineremo, Apicius definisce sempre questa salsa liquamen e non garum. Se questa salsa va a male, non ci sono problemi; Apicius fornisce subito il rimedio nella ricetta: de liquamine emendando; (dal libro I, ricetta numero 7) “se il liquamen avrà fatto cattivo odore, profuma un vaso vuoto rovesciato con alloro e cipresso e versavi dentro il liquamen prima esposto all’aria. Se sa di sale, metti un sestario di miele e agita; e così lo avrai risanato; ma va bene anche il vino nuovo”. ( Il sestario è la sesta parte del congio, misura per liquidi, che equivale a poco più di tre litri ). Una variante più sofisticata del garum è l’ oenogarum, ossia garum mescolato a vino bianco.
Carni e pesci e verdure erano sempre accompaganti da salse, di cui si hanno moltissime ricette, con mescolanza di sapori acuti e dolciastri, come l’aceto, il miele, la menta e tutte le altre spezie, che servivano a mascherare i sapori un po’ rancidi e costituivano, come abbiamo visto, il punto forte della cucina di Apicius. Ogni salsa specifica accompagnava un piatto a base di carne o di pesce o verdura. Vediamone qualcuna:
Salse per diverse qualità di pesci:
Ius diabotanum in pisce fricto, salsa d’erbe per pesce fritto: qualunque sia il pesce, lo prepari, lo sali, lo friggi; triti pepe, comino, semi di coriandolo, radice di laser, origano e ruta, bagni con aceto, aggiungi caryota, miele, mosto cotto ed olio. Temperi con salsa d’Apicio e fai bollire, quindi la versi sul pesce, cospargi di pepe e servi.
Ius in pisce elixo, salsa per pesce allesso: pepe, ligustico, comino, cipolla, origano, pinoli, cariote, miele, aceto, salsa d’Apicio, senape, olio; se vuoi, aggiungi uva passa.
Aliter in pisce elixo, altra salsa per pesce allesso: trita pepe, ligustico, coriandolo verde, peverella, cipolla, tuorli d’uova cotte, passito, aceto, olio e salsa d’Apicio.
Aliter ius in pisce elixo, condimenti per pesce allesso: pulisci il pesce con cura; metti in un mortaio sale e semi di coriandolo: pestali bene e rivoltavi il pesce; poi mettilo in un tegame sotto un coperchio ben ingessato e cuocilo al forno. Quando è cotto, lo levi, lo spruzzi con aceto fortissimo e lo servi.
Aliter ius in pisce elixo, altro condimento per pesce allesso: pulito il pesce, mettilo in padella con semi di coriandolo, aneto verde e acqua. A cottura ultimata, spruzza d’aceto e servi.
Ius alexandrino in pisce asso, salsa alessandrina per pesce arrosto: pepe, cipolla secca, ligustico, comino, origano, semi di sedano, susine secche senza nocciolo; mettivi vino melato, aceto, salsa d’Apicio, olio e cuoci.
Aliter ius alexandrinum in pisce asso, altra salsa alessandrina per pesce arrosto: pepe, ligustico, coriandolo verde, uva passa senza granelli, vino, passito, salsa d’Apicio, olio, cuoci.
Aliterius Alexandrinum in pisce asso, altra salsa alessandrina per pesce arrosto: pepe, ligustico, coriandolo verde, cipolla, susine secche senza nocciolo, passito, olio e aceto. Cuoci.
Ius in grongo asso, salsa per grongo arrosto: pepe, ligustico, comino fritto, origano, cipolla secca, tuorli d’uova cotte, vino, vino melato, aceto, salsa d’Apicio e mosto cotto. Cuoci.
Ius in cornutam, salsa per razza cornuta: pepe, ligustico, origano, cipolla, uva passa purgata dai granelli, vino, miele, aceto, salsa d’Apicio, olio e cuoci.
Ius in mullos assos, salsa per triglie arrosto: pepe, ligustico, ruta, pinoli, miele, aceto, salsa d’Apicio e un po’ d’olio. Scalda e versa sulla triglia.
Aliter ius in mullos assos, altra salsa per triglie arrosto: ruta, menta, coriandolo, finocchio, pepe, ligustico, miele, salsa d’Apicio ed olio in discreta dose.
Ius in pelamyde assa, salsa per palamita arrosta: pepe, ligustico, maggiorana, coriandolo verde, cipolla, uva passa senza granelli, passito, aceto, salsa d’Apicio, mosto cotto e olio. Cuoci. Ciò va bene anche per la palamita allesso. Se vuoi, aggiungi anche del miele.
Ius in percam, salsa per pesce persico: pepe, ligustico, comino fritto, cipolla, susine secche senza nocciolo, vino, vino melato, aceto, olio, mosto cotto. Cuoci.
Salse per diverse qualità di carni:
Aper ita conditur, il cinghiale si condisce in questo modo: lo si lava con la spugna, poi vi si sparge del sale e del comino trito e si lascia così. Il giorno dopo si mette in forno e, quando è cotto, si spolverizza con pepe. Il suo condimento sarà miele, salsa d’Apicio e passito.
Aliter in apro, altro tipo di cottura: fallo lessare nell’acqua marina con ramicelli di lauro, finchè si renda tenero. Quindi scotennalo e servilo con sale, senape e aceto.
Aliter in apro, altro condimento: trita pepe, ligustico, maggiorana, bacche di mirto snocciolate, coriandolo, cipolla; bagna con miele, vino, salsa d’Apicio e poco olio. Metti a scaldare, fa addensare con dell’amido e versa sul cinghiale cotto nel forno. Questa salsa è adatta per ogni genere di carne selvatica.
In aprum assum iura ferventia facies sic, salsa bollente per cinghiale arrosto: pepe, comino fritto, semi di sedano, menta, timo, peverella, fiori di cartamo, pinoli o mandorle tostate, miele, vino, aceto, salsa d’Apicio ed olio modicamente.
Aliter in aprum assum iura ferventia, altro metodo: trita pepe, ligustico, semi di sedano, menta, timo, pinoli tostati e aggiungi vino, aceto, salsa d’Apicio; metti a bollire il tutto e agita con un mazzetto di cipolla e di ruta; se vuoi una salsa più densa, aggiungi chiaro d’uovo.
Ius in aprum elixum, salsa per cinghiale allesso: pepe, ligustico, comino, silfio, maggiorana, pinoli, caryote, miele, senape, aceto, salsa d’Apicio ed olio.
Ius frigidum in aprum elixum, salsa fredda per cinghiale lesso: pepe, carvi, ligustico, semi di coriandolo fritti, semi di aneto, semi di sedano, timo, maggiorana, cipolla, miele, aceto, senape, salsa d’Apicio ed olio.
Aliter ius frigidum in aprum elixum, altra salsa fredda per cinghiale allesso: trita del pepe, ligustico, comino, semi d’aneto, timo, maggiorana, poco silfio, un po’ di semi di ruchetta, bagna con vino, aggiungi verze, cipolla, nocciole o mandorle fritte, datteri, miele, aceto e poco vino, mosto cotto, salsa d’Apicio e olio.
Aliter ius in apro, altro metodo: trita pepe, ligustico, maggiorana, semi di sedano, radice di laser, comino, semi di finocchio, ruta, salsa d’Apicio, vino e passito; quando bolle, raddensa con amido e bagna il cinghiale dentro e fuori con questa salsa e servilo.
In pullo elixo ius crudum, salsa cruda per polli allesso: getta in un mortaio dei semi d’aneto, menta secca, radice di laser, bagna con aceto , aggiungi caryota, versavi salsa d’Apicio, un po’ di senape ed olio; tempera con del mosto cotto e servi il pollo con questa salsa.
Aliter, altro metodo: stempera un po’ di miele nella salsa d’Apicio; leva il pollo cotto ed asciugalo con un tovagliolo pulito; fagli dei tagli perchè possa penetrarvi il condimento; poi fallo arrostire e bagnalo bene nel suo medesimo sugo. Spargi di pepe e servi.
Salse per diverse qualità di verdure:
Cymas et cauliculos, cime e broccoli: condirai le cime ( fiore del broccolo ancora chiuso tra le foglie ) con comino, sale, vino vecchio ed olio; se vuoi, aggiungi pepe, ligustico, menta, coriandolo, fogliette di broccoli con salsa d’Apicio, vino ed olio.
Aliter, altro metodo: taglia a metà i broccoli lessati e trita le sommità delle foglie con coriandolo, cipolla, comino, pepe, vino d’uva passa o mosto cotto o poco olio.
Aliter, altro metodo: metti in tegame i broccoli lessati e condisci con salsa d’Apicio, olio, vino puro e comino; spargi di pepe e affettavi sopra del porro, del comino e del coriandolo verde.
Aliter, altro metodo: conditi i broccoli come sopra, gettavi della spelta lessata, pinoli e uva passa; spargivi anche del pepe.
Cardui, cardi : condisci i cardi con salsa d’Apicio, olio e uova tagliate
Aliter carduos, altro metodo: trita insieme ruta, menta, coriandolo, finocchio, aggiungi pepe, ligustico, miele, salsa ed olio.
A proposito della conservazione, non avendo il moderno frigorifero, come conservavano il cibo i Romani? Vediamo qualche esempio dal libro I del De re Coquinaria di Apicius:
(dal libro I, ricetta n. 9) - Callum porcinum vel bubulum et ungellae coctae ut diu durent, la conservazione del callo di maiale o di bue e degli zoccoli cotti: mettili in senape fatta d’aceto, sale e miele fino a coprirli, e, ogniqualvolta vorrai, usali; ti stupirai.
(dal libro I, ricetta n.10) - Ut carnem salsam, dulcem facias: renderai dolce la carne salata, se prima la cuoci in latte e poi in acqua.
(dal libro I, ricetta n.. 11) - Pisces fricti ut diu durent : eodem momento quo friguntur et levantur, ab aceto calido perfunduntur. Nello stesso istante in cui si friggono e si tolgono dalla padella, si immergono nell’aceto caldo. Questa è una ricetta ancora in uso nella cucina triestina, sardoni in savòr, che è abbastanza simile.
(dal libro I, ricetta n.12) - Ostrea ut diu durent: lavas ab aceto, aut ex aceto vasculum picitum lava, et ostrea compone. Piglia un vaso d’aceto, oppure lava con aceto un piccolo vaso impeciato: e componivi le ostriche.
(dal libro I, ricetta n. 17) - Uvae ut diu serventur: Cogli l’uva sana dalla vite: e fa bollire acqua piovana finchè si riduca ad un terzo: versala in un vaso nel quale getterai poi l’uva. Che il vaso sia ben impeciato, col coperchio sigillato a gesso; lo collocherai in una località fresca dove non penetri il sole. Troverai l’uva fresca a tuo piacimento. L’acqua stessa in cui le uve furono tenute, la potrai dar da bere ai malati, invece dell’idromele. Potrai anche trovare le uve sane se ne accomoderai i grappoli dentro della farina d’orzo. - (L’idromele è una bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione di miele, talvolta aromatizzata con fiori di sambuco o di timo o di rosmarino ed usata anche in medicina )
(dal libro I, ricetta n.20) - Ficum recentem, mala, pruna, pira, cerasia, ut diu serves: raccogli con cura tutti i frutti con i piccioli e ponili nel miele affinchè non si tocchino.
(dal libro I, ricetta n.22) - Mora ut diu durent: ricava un succo dalle more e mescola con mosto cotto e mettilo in un vaso di vetro con le more; le conserverai per lungo tempo.
( dal libro I, ricetta n. 23 ) - Holera ut diu serventur: riponi erbaggi di vario genere scelti e non troppo maturi in un vaso peciato.
( dal libro I, ricetta n. 26 ) - Duracina persica ut diu durent: scegli le pesche migliori e mettile in salamoia; il giorno dopo le togli, le pulisci con cura e le metti in un vaso e vi spargi sale, aceto e santoreggia.
L’opera è scritta in una lingua che, come abbiamo citato prima, non è, sostanzialmente, quella classica; la lingua è semplice, libera da vincoli della sintassi letteraria, con largo uso dell’indicativo.
Il formulario gastronomico utilizzato dagli autori del libro, offre l’opportunità di conoscere una quantità di nomi: ( noi ne diamo solo qualche esempio), non solo di piatti e di cibi: assatura = arrosto; botellus = salsicciotto; copadia = scaloppina; echinus = riccio marino; farcimen = salsiccia; ficatum = fegato grasso di maiale; holus = cavolo, rapa; isicium = polpetta; lolligo = calamaro; ofella = braciola; omentum = grasso di maiale; puls = polenta; ma anche di piante alimentari : alica = spelta; caryota = specie di dattero; cepa sicca = cipolla secca; colocasium = colocasia, pianta egiziana medicinale; coryandri semen = seme di coriandolo; cucurbita = zucca; faenum = fieno; ficetula = fico; laser = pianta del laserpizio; oryza = riso; sfondilus = fondi di carciofo; e di erbe aromatiche: alium = aglio; casia = cannella; feniculus = finocchio; holisatrum = smirnio; gingiber = zenzero; nepeta = nepitella o mentuccia; puleium = puleggio; ruta = ruta; ed anche i termini che designavano le suppellettili: caccabulus = pentolino; caccabus = casseruola; cocliare = cucchiaio; craticula = gratella; patina = padella per i classici; focaccia a forma di padella per Apicius e che corrispondeva alla mensa , di cui parla Virgilio nell’Eneide, un po’ come la moderna piadina romagnola d’ oggi.
Questa silloge gastronomica, che ci spiega gli aspetti della civiltà romana attraverso un itinerario inconsueto, fornisce una testimonianza antropologica di grande importanza, poichè è risaputo che le abitudini alimentari costituiscono una delle migliori chiavi d’ accesso alla cultura di un popolo. La riflessione sui particolari accostamenti fra determinati legumi e determinate carni , sulla scelta ben precisa di aromi per accompagnare umidi e arrosti ed altre ricette, ci farà comprendere i modelli culturali che regolavano l’alimentazione di una civiltà ormai sofisticata come quella romana e ben distante dai gusti arcaici e primitivi testimoniati da Varrone e Catone; e aiuta a misurare la distanza culturale, anche su questo terreno, fra noi e gli antichi Romani.
Nel mondo romano si mangiava pochissima carne bovina, poichè le bestie erano impiegate nei lavori dei campi e macellate molto vecchie; non si mangiava il cavallo che era guardato con rispetto quasi sacrale; si consumava invece molta carne suina e ovina; e inoltre volatili, pesci, molluschi anche di allevamento e selvaggina, in quantità di gran lunga superiore alla nostra. Per quanto riguarda i vegetali, dobbiamo rilevare che erano assenti dalla cucina dei Romani la patata e il pomodoro che attualmente costituisce il simbolo della cucina mediterranea ed erano invece largamente consumati quelli che oggi noi consideriamo “ cibi poveri”: il farro ( specie di frumento ), la spelta ( specie di frumento ) , la segale, l’orzo, la fava, la cicerchia (pianta erbacea simile al pisello ) e il rafano ( ravanello ).
I pasti consumati durante la giornata erano tre: ientàculum o prima colazione, verso l’ora terza che corrisponde alle nostre 9 del mattino; prandium o pranzo di mezza giornata alla fine dell’ora sesta, cioè verso mezzogiorno; e la cena o pranzo di fine giornata verso l’ora nona, le nostre 15 ; i primi due pasti venivano consumati in fretta durante il lavoro e quasi sempre con gli avanzi del giorno precedente; il terzo, invece, era il pasto più importante, ma aveva forme diverse, a seconda dei ceti sociali; i poveri consumavano pasti frugali a base di pane, pesce in salamoia e qualche pezzetto di carne, polpi in umido, formaggio e bevevano la posca, cioè aceto annacquato, anche per la strada dai venditori ambulanti oppure nelle cauponae, cioè taverne.
I ricchi invece , ai quali si rivolge l’attenzione di Apicius, consumavano una sontuosa cena, solitamente dopo aver fatto il bagno alle terme che era il punto d’incontro per la conversazione. La cena veniva consumata nel salone del triclinium, arredato con alcuni letti a tre posti, i triclinia, dove gli ospiti si stendevano tre per ogni divano, tutti di fronte al tavolo, con il gomito sinistro appoggiato al cuscino ed i piedi verso destra; il triclinio di mezzo era quello d’onore ed era chiamato medium, il primo da sinistra verso destra era chiamato summus e l’ultimo da destra era imus, dove solitamente era disteso il padrone di casa. Anche i tre posti che componevano il letto prendevano il nome di: locus summus, locus medius e locus imus. All’ospite d’onore era riservato il locus consularis. Appena il nomenclator, schiavo che annunciava gli ospiti, li aveva fatti accomodare tutti, i ministratores iniziavano a portare i piatti, che potevano essere piani ( patina o patella ), fondi ( catinus) e i bicchieri senza manico o poculum. Fra una portata e l’altra, i servi provvedevano anche al lavaggio delle mani dei convitati, non essendo in uso le posate, tranne che per le pietanze liquide e cremose, per le quali veniva utilizzato il cochlear o cucchiaio. La tovaglia compare solo in epoca imperiale. Alcuni ospiti portavano il tovagliolo da casa , che poi serviva anche per portar via gli avanzi. La culina o cucina era dotata di un forno fisso, a muro, e di alcuni fornelli di bronzo portatili, per riscaldare l’acqua o per i piatti; in essa trova posto anche un acquaio. Generalmente è collocata accanto al triclinium ed un’apertura del muro divisorio dei due ambienti consente alle vivande di giungere alla mensa ancora calde. La cena iniziava con la gustatio, antipasti a base di olive, funghi, ostriche, verdure varie, porri, uova accompagnate da mulsum, ( vino con miele ); il ferculum, ( la cena vera e propria) era costituita da varie portate; alla fine, dopo le libagioni in onore dei Lari ( protettori della casa ), arrivavano le secundae mensae, ossia i dessert. Nei banchetti più importanti c’era il rito della commissatio, nel quale i commensali, coronati di fiori e profumati, facevano brindisi all’indirizzo dei presenti e assenti, sotto la direzione di un rex o magister convivii, che stabiliva in quali proporzioni mescere il vino e l’acqua, poichè l’usanza romana era quella di non bere mai vino puro. Il tempo trascorreva in conversazioni, recitazioni, esibizioni di musici e cantanti.
Una descrizione ironica di questi sprechi in sfarzosi banchetti ci viene lasciata da Orazio ( I sec.a.C. ) nella Satira II, 8, in cui immagina il racconto di una cena fattogli dall’amico Fundanio: “..........in primo luogo cinghiale della Lucania, che era stato catturato mentre spirava un leggero scirocco; per contorno c’erano ravanelli piccanti, lattughe, radici e cose tali da stuzzicare lo stomaco svogliato, raperonzoli, salsa di pesce, vino di Coo ( isola greca del mare Egeo ). Poi, dopo che la tavola venne sparecchiata e uno schiavo vestito succintamente ebbe pulito la mensa d’acero con uno straccio purpureo ed un altro ebbe raccolto tutto ciò che d’inutile c’era per terra, ( era malvezzo diffuso quello di gettare sotto la tavola gli avanzi del pasto ), il nero Idaspe avanza portando vino Cecubo ( del Lazio e considerato il miglior vino d’Italia )...mangiavamo uccelli, conchiglie, pesci che nascondevano un gusto molto diverso dal consueto...poi venne portata una murena, distesa su di un piatto tra squille ( gamberetti ) che nuotavano nella salsa...la salsa è composta da questi ingredienti: olio di prima spremitura di Venafro (città della Campania), garum, fatto coi sughi del pesce di Spagna, vino di cinque anni, ma nostrano...pepe bianco e aceto ottenuto dal vino di Metimno (città dell’isola di Lesbo)...altri schiavi portarono su un grande piatto le membra trinciate di una gru cosparsa di molto sale e farina, e il fegato di un’oca ingrassato con fichi succulenti, e spalle di lepri, che sono la parte più prelibata dell’animale...merli con il petto rosolato e colombe senza cosce...”
La cucina del popolo era assai semplice e con pasti molto frugali, a base di legumi: fave, ceci, lenticchie; farro e ortaggi. Il nutrimento essenziale era rappresentato dalla polenta che poteva essere o di frumento o di miglio, o di fave e ceci; ma il prodotto più largamente utilizzato per la polenta era il farro che veniva cotto o in grani interi o macinato o frantumato nel mortaio. La polenta era preparata in un contenitore di terracotta detto pultarium a base di farro, acqua e sale, con aggiunta di latte; e veniva poi arricchita con fave, cavoli, cipolle, formaggio, talvolta pezzi di carne o di pesce, per migliorarne il sapore. Con l’arrivo del pane sulle tavole, la polenta, che era stata l’alimento base per molto tempo, vide diminuire la sua importanza. Vi erano tre tipi di pane: il pane nero o pane dei poveri ( panis plebeius o rusticus ), il pane bianco, appena migliore, o panis secundarius e il pane bianco di farina finissima per i ricchi, o panis candidus o mundus. Il servizio dei rifornimenti annonari che in tutto l’Impero era svolto anche da privati, a Roma invece rivestiva carattere esclusivamente pubblico fin dai tempi di Caio Gracco ( 123 a.C. ), dove attraverso le Lex frumentaria , prima e la Lex Clodia, poi, nel 58 a.C., venne sancito per legge il diritto dei cittadini romani di poter acquistare il grano a prezzi ridotti prima e di averne somministrazioni gratuite poi; e si arrivò alla costruzione di numerosi granai pubblici. Con Augusto venne introdotta la figura del Praefectus annonae, che si doveva occupare del reperimento delle derrate per scopi civili e doveva vigilare affinchè non avvenissero frodi o alterazioni nel grano e vennero istituite le figure dei Praefecti frumenti dandi, addetti alle frumentationes. Per le provviste militari era competente il Praefectus praetorii. Considerato che i traffici marittimi erano sospesi da novembre a marzo, a causa delle cattivi condizioni del mare, era necessario un puntuale rifornimento di provviste, che venivano immagazzinate a Ostia, dopo essere state pesate dai misuratori di grano e poi prelevate ed inviate a Roma, via Tevere, secondo la necessità.
Il pesce era molto diffuso, sia di fiume che di mare, sia quello allevato in grandi vivai. I pesci utilizzati nella cucina romana erano di circa 150 specie, da quelli delle tavole dei poveri, piccoli e di poco prezzo e spesso conservati in salamoia, a quelli delle tavole dei ricchi: orate, sogliole, dentici, trote e soprattutto aragoste, polpi, datteri, gamberi e ostriche. Le ostriche ( òstrea ) definite da Plinio il vanto delle mense opulente, erano talmente ricercate che molti ricchi possedevano allevamenti personali, e le più pregiate erano quelle coltivate a Baia, vicino a Napoli.
Le carni erano utilizzate per lo più dai ricchi, poichè i poveri potevano permettersi soltanto il pollo e talvolta il bue, mentre sulle tavole dei ricchi apparivano carni di maiale, cervo, asino selvatico, cinghiale, ghiro, e fra gli uccelli: tordi, piccioni, fenicotteri, (la cui prelibatezza consisteva nella lingua), cicogne, gru, pavoni e fagiani. Le carni venivano cucinate in moltissimi modi: arroste, in umido e ripiene, con salse di vario genere.
Dal latte si ricavavano formaggi freschi e secchi o dolci con aggiunta di miele, farina e frutta; il burro invece veniva utilizzato piuttosto come medicinale o come unguento per il corpo.
Per quanto riguarda le verdure, si consumavano lenticchie, fave,ceci, piselli, lattughe, carote, rape, zucche, cipolle, carciofi, asparagi ed erano molto ricercati i funghi. La frutta era costituita da mele, pere, ciliegie, susine, noci, mandorle, castagne, pesche,uva fresca e passa ; inoltre albicocche che giungevano dall’Armenia e i datteri che arrivavano dall’Africa. La frutta veniva utilizzata anche nella produzione di marmellate.
L’olio d’oliva era molto importante nell’alimentazione dei Romani e veniva usato anche per la medicina e per l’illuminazione; vi erano più qualità: l’olio vergine di prima spremitura , oleum flos, l’olio di seconda qualità, oleum sequens, e quello comunemente usato , oleum cibarium. Il più prezioso proveniva dalla regione della Baetica in Spagna meridionale.
Le anphorae, utilizzate per il trasporto dei liquidi e semiliquidi, con una capacità pari a circa 26 litri, erano un contenitore di terracotta munito di due manici, un collo più o meno lungo e stretto che poteva essere sigillato con un tappo, un corpo tondeggiante molto capiente e un fondo appuntito. La caratteristica forma del fondo era utile per conficcare le anfore nella terra o nella sabbia o per stivarle nelle navi dove venivano ammassate a file sovrapposte e attutite da strati di paglia. La forma delle anphorae ha subito parecchie modifiche nel corso del tempo, tanto che se ne conoscono svariati tipi, con provenienza diversa a seconda del luogo di produzione. Una testimonianza curiosa della notevole diffusione a Roma dell’olio di produzione spagnola è data dal Monte Testaccio, che potremmo definire il “cimitero” delle anfore denominate “ Dressel 20 “, prodotte nella provincia Baetica, tra Siviglia e Cordoba, nel periodo che va dal II, III, e forse anche IV secolo d.C.. Il Monte Testaccio, infatti, è una collina artificiale sulla riva sinistra del Tevere, formatasi con l’accumulo dei cocci di queste anfore di importazione spagnola, che venivano frantumate dopo averne travasato l’olio in altri contenitori.
Il vino era bevanda molto diffusa, ma assai diversa da quelli odierni per consistenza, sapore e gradazione tanto alta da richiedere la diluizione con acqua calda o fredda; in inverno a volte veniva diluito con neve, in modo da ridurne la gradazione alcolica da 15 o 16 a 5 o 6 gradi. Il vino era spesso aromatizzato con altre sostanze quali miele, resina, spezie e perfino acqua di mare. Il vino all’assenzio, aromatizzato con rose e viole , è una delle più note ricette di Apicius. I meno abbienti, invece, bevevano la posca, un miscuglio di aceto mescolato con l’acqua. A questo proposito, è da tener presente che il soldato che diede l’aceto a Gesù Crocifisso era mosso da intenti caritatevoli e non di scherno. Non esistevano ancora caffè, tè, cacao, superalcolici. Oltre ai vini pregiati, vi erano anche alcuni vini resinati, ma considerati di cattiva qualità perchè la resina si aggiungeva ai vini scadenti per farli durare più a lungo. I più pregiati erano il Massico e il Falerno della Campania, il Volturno, l’Abano, il Cecubo e il Sabino del Lazio. Tra i vini aromatizzati, i più apprezzati erano Aromatites e Mirris, con l’aggiunta di canna, giunco, cannella, zafferano e palma. Il Gustaticium e il Mulsum arricchiti di miele avevano anche una funzione medicinale. Sulle tavole dei ricchi facevano sfoggio i vini invecchiati, cioè quelli che avevano passato l’estate successiva alla data di produzione. Il vino era sia di qualità rossa vinum atrum, che di qualità bianca, vinum candidum. Roma era dotata di un porto e di un mercato attrezzati per la vendita del vino. Portum vinarium e forum vinarium. Sulle anfore utilizzate per il trasporto era impressa in una targhetta pittacium, l’origine e la data di produzione per tutelare l’acquirente, anche se già in quell’epoca esistevano casi di adulterazione, ad esempio in una ricetta di Apicius si insegnava a trasformare il vino rosso in bianco. ( libro I, ricetta VI, metti in un fiasco pasta di farina di fave oppure il bianco di tre uova e agita per lunghissimo tempo; e presto il vino sarà bianco).
Una composizione di vino è offerta da Apicius nel I libro, ricetta numero 1 : Conditum paradoxum , cioè vino condito mirabile ; Versa in un vaso di bronzo 40 once di vino e 15 parti di miele, così che, nella cottura del miele, il vino evapora. Scalda a fuoco lento di legna ben secche e mescola con un bastoncello finchè cuoce; se si alza la bollitura, spruzza altro vino e non mescolare più perchè, per terminare l’ebollizione, basta sottrargli il fuoco. Una volta raffreddato, riponilo al fuoco e ciò per due o tre volte. Una volta tolto dal fuoco, il giorno dopo termina di schiumare. Quindi aggiungi 4 once di pepe tritato, 3 scròpoli di mastice, una dramma di malabatro ed altrettanto di zafferano, 5 ossicelli torrefatti di datteri e pure 5 datteri ammollati nel vino, tanto quanto basti perchè riescano teneri a dovere. Compiuta l’operazione, versavi 30 libbre di vino delicato. Consumati 200 carboni, la cottura sarà perfetta.
E’ interessante rilevare che il tempo di cottura è indicato con il numero di carboni da consumare. Ricordiamo che: oncia è la dodicesima parte di un tutto; scròpolo è la ventiquattresima parte dell’oncia; mastice è una sorta di droga resinosa stillante da certi alberi; dramma è l’ottava parte di un’oncia; malabatro è una spezia; libbra è 12 once = circa 1/3 di chilogrammo.
La cucina romana, al contrario delle nostre abitudini, come abbiamo visto, usava mescolare sapori diversi; infatti Apicius, per condire uno stesso piatto, consigliava ora mosto cotto, aceto e salsa di pesce; ora ruta, pepe, origano, sedano, assafetida, semi di finocchio, salsa di pesce e vino passito, ora pepe, prugne macerate, vino, miele, aceto, prezzemolo e salsa di pesce.
Una tecnica di cottura talvolta, ma non spesso, utilizzata da Apicius è quella del “frigere”“, ossia del verbo friggere. Il “fritto” è inteso dai romani in modo molto diverso dal nostro moderno e ci conferma che la gastronomia romana è uno dei codici in cui maggiormente si evidenziano le specifiche diversità culturali. Secondo le regole della cucina romana, infatti, “frigere” non significa esclusivamente gettare del cibo nell’olio bollente, come sostanzialmente è per noi: al contrario, si può “frigere” anche in liquidi diversi dall’olio. Apicius, nelle sue ricette, insegna a friggere non solo dentro l’olio, come facciamo noi, ma anche dentro liquidi quali un miscuglio di garum ( la salsa di pesce tipica della cucina romana ), olio e vino; oppure di garum, acqua, aceto e olio; oppure si può frigere nel miele cotto; nel solo garum o con altre fantasie.
E’ evidente, quindi, che a Roma frigere significa semplicemente cuocere un alimento in un liquido che ha un alto grado di temperatura, sia esso olio o altro; l’importante per realizzare una cottura fritta è che il liquido in questione “ferveat”, sia molto caldo e che la vivanda sia gettata nel liquido solo al momento della sua forte ebollizione.
Vediamo la ricetta ‘Patina de apua frict’a ( focaccia di acciughine fritte): Lava le acciughine, rompi le uova e mescolale con le acciughine. Prendi del liquamen , vino, olio, portalo all’ebollizione e, quando bolle, butta le acciughine. Quando avranno cominciato a friggere, girale con delicatezza. Fa che prendano colore, cospargile di oenogarum , cioè garum al vino bianco e servile col pepe. Come si vede, Apicius frigge in olio misto a vino e a garum, cioè in un liquido che noi moderni difficilmente accetteremmo come liquido di frittura. L’ importante, pero, è che l’ apua sia gettata quando questo liquido bolle, proprio come facciamo noi quando friggiamo con l’olio.
Dopo aver analizzato un po’ la figura e l’opera di Apicius, la conservazione dei cibi e le abitudini culinarie degli antichi Romani, abbastanza diverse dalle nostre, come abbiamo potuto notare, entriamo nel vivo della cucina di Apicius, con una cena tipica, che, come abbiamo visto, inizia con la gustatio, a base di vari antipasti:
(Libro IV, ricetta V ) - Gustum de cucurbitis farsilibus = Antipasto di zucche ripiene: Taglia sottilmente sul fianco della zucca un tassello oblungo e vuotala; poi mettila a lessare con acqua fredda. Farai il ripieno in questo modo: trita del pepe, del ligustico, origano. Bagna con salsa d’Apicio, pesta delle cervella cotte, mescola delle uova crude e uniscile per amalgamare. Tempera con salsa. Infarcisci le zucche non del tutto cotte, con questo ripieno, rimetti il tassello e inseriscilo bene. Quando sono cotte, toglile dalla pignatta e falle friggere. Prepara l’enogàro ( garum a base di vino bianco) nel modo che segue: trita del pepe e del ligustico, bagna con vino e salsa d’Apicio, tempera con passito, versa nella pignatta un po’ d’olio e fa’ bollire. Addensa la salsa con amido e versala sopra le zucche fritte, spolverizzando con pepe, e quindi servi.
Gustum de praecoquis = Antipasto di pesche primaticce: Pulisci e togli il nocciòlo a delle pesche primaticce, scelte fra le meno grosse. Mettile in acqua fredda, poi disponile nel tegame. Trita del pepe e della menta secca. Bagna con salsa d’Apicio, aggiungi del miele, del passito, del vino e dell’ aceto; versa il tutto sulle pesche. Uniscivi un po’ d’olio e fa bollire a fuoco lento. Quindi addensa con amido, spargi di pepe e servi.
( Libro IV, ricetta I ) Salacattabia o Salacaccabia = Salati cotti in pentola : Trita pepe, menta, sedano, puleggio ( erba aromatica simile alla menta piperita ) secco, formaggio, pinoli e stempera il tutto con miele, aceto, salsa d’Apicio, tuorlo d’uovo, acqua fresca. Passa per il setaccio del pane macerato nell’aceto annacquato ( posca ). Mettilo nel pentolino assieme a formaggio di mucca e dei cetrioli, interponendovi dei pinoli; aggiungi delle fettoline di cipolle secche e dei fegatini di gallina. Versavi sopra il sugo. Metti il pentolino nell’acqua fredda e quindi servi in tavola.
Aliter sala cattabia apiciana = Altro piattino freddo apiciano: Metti in un mortaio dei semi di sedano, del puleggio secco, della menta secca,dello zenzero, del coriandolo verde, chicchi d’uva passa, miele, aceto, olio e vino. Trita tutto insieme. Getta nel pentolino tre fette di pane picentino, inserendovi polpa di pollo, delle ghiandole di capretto, del formaggio vestinate, e pinoli, cetrioli, cipollle secche sminuzzate. Versavi sopra il trito , immergi il recipiente nel ghiaccio pestato e servi..
Adesso passiamo al menù dei piatti importanti della cena vera e propria:
Le isicia o polpette non erano necessariamente di carne, come quelle che consumiamo noi, ma erano generalmente di mare, cioè di aragoste o di gamberi o di calamari o di seppie, oppure di spugnòle ( funghi ) oppure di omento, che è un grasso animale. Consideriamo ora due tipi di polpette, un po’ particolari:
( Libro II, ricetta I ):
Isicia ex spòndylis = Polpette di spugnòle: Sbriciola delle spugnòle lessate, dopo aver tolto i filamenti fibrosi, quindi pesta insieme con della spelta ( frumento ) lessata, uova e pepe. Avvolgi nell’omento ( grasso animale ) e arrostisci, bagnando con enogaro ( salsa d’Apicio con vino ). E servi a guisa di polpette.
Isicia omentata =Polpette di omento: Trita della polpa tagliuzzata con mollica di pane di siligine ( frumento bianco ) ammollato nel vino. Pesterai insieme pepe e salsa d’Apicio: e, se vuoi, anche bacche di mirto; tolti i semi, fanne delle polpettine con dentro dei pinoli e del pepe. Coprile di omento e cuocile con mosto cotto. --- Indubbiamente sono sapori molto forti e variegati, diversi dalla nostra cucina e forse un po’ più simili a quella orientale.
Il pollo può essere preparato sia allesso che arrosto in vari modi e con tanti tipi diversi di erbe e di salse, secondo la fantasia dei vari cuochi. Esaminiamo ora tre ricette significative dal libro VI, numero IX :
Pullum parthicum = Pollo partico: Sventra il pollo e preparalo sul tagliere. Trita del pepe, del ligustico e un po’ di carvi. Bagna con l’immancabile salsa d’Apicio: tempera con del vino. Metti il pollo in un tegame e versavi sopra il condimento. Sciogli del laser ( succo del laserpizio ) e del vino nell’acqua tiepida e versa il tutto sul pollo e cuoci. Spargi di pepe e servi.
Pullum numidicum = Pollo numidico: Prepara, lessa e lava il pollo: poi fallo arrostire, sploverizzandolo con laser e pepe. Trita del pepe, del comino, dei semi di coriandolo,della radice di laser, ruta, caryote e pinoli. Bagna con aceto, miele e salsa d’Apicio: tempera con olio, fai ispessire con amido, spargilo sul pollo e metti pepe; poi servi.
Pullum frontonianum = Pollo frontoniano: questa è una di quelle ricette che come afferma Marsili, appartengono ad un successivo rifacimento : Lessa un po’ il pollo; condiscilo con salsa d’Apicio misto ad olio, aggiungi un mazzetto d’aneto, di porri, di santoreggia, di coriandolo verde e fa cuocere e dopo toglilo e bagnalo con del mosto cotto ; spargi sopra del pepe e servilo
In perdice elixa = Pernice lessa : Lessa la pernice con le sue piume e la spennerai inumidita; la pernice uccisa può essere cotta nel sugo per non indurire, ma dopo tre giorni deve essere lessata.
Anserem elixum calidum ex iure frigido Apiciano = Oca lessata calda con salsa fredda di Apicius : trita pepe, coriandolo, menta, ruta, bagna con salsa di Apicio e poco olio e quindi asciuga l’oca bollente con un tovagliolo pulito, cospargi con salsa e servi.
In phoenicoptero: lava e orna il fenicottero, mettilo nella pentola, aggiungi acqua, sale, aneto e un po’ d’aceto; a metà cottura aggiungi porro e coriandolo, mosto cotto; trita pepe, comino, coriandolo, radice di laser, menta, ruta, bagnali con aceto, aggiungi caryota, bagna del suo sugo e metti nella stessa pentola, bagna del suo sugo e servi. Lo stesso procedimento è valido anche per il pappagallo.
Allo stesso modo vengono preparati lo struzzo, il fenicottero, la cicogna, il cigno, la tortora, il pavone, il tordo.
Anche per la cottura del cinghiale, la fantasia di Apicius e dei suoi successori si è sbizzarrita nell’inventare tante ricette e tante salse; noi ci soffermiamo su questa: ( libro VIII, ricetta I )
Prosciutto di cinghiale alla tarantina o Perna apruna ita impletur Terentina: Il prosciutto si riempie in questo modo. Introdurre attraverso la giuntura del prosciutto un legno acuminato e staccare dalla carne la cotenna . Tritare del pepe, delle bacche di alloro, della ruta e del laser, salsa d’Apicio ottima, del mosto e qualche goccia di olio verde. Riempito il prosciutto, va stretta con del lino la parte dalla quale venne farcito. Si mette in una pignatta. Si lessa in acqua salata con cimette di alloro e di aneto.
Sempre nel libro VIII, alla ricetta VI, troviamo le prelibatezze del capretto o agnello, che può essere preparato nei seguenti modi : Intingolo di capretto o d’agnello, Capretto o agnello stufato , Capretto o agnello arrosto, Capretto o agnello vuotato, Capretto o agnello tarpeiano, Capretto o agnello partico, Capretto cotto nell’alloro e nel latte.
Haedum sive agnum tarpeianum = Capretto o agnello tarpeiano: è una delle ricette che appartengono, secondo il Marsili, ad un rifacimento posteriore al primo autore: Prima di cuocerlo, lo si prepara con del ripieno di pepe, ruta, santoreggia, cipolla e un po’ di timo, bagnati con salsa d’Apicio. Poi lo si mette a macerare nel forno in un tegame con olio e, quando è cotto, gli si versa sopra la seguente salsa a base di santoreggia, cipolla, ruta, datteri tritati misti a salsa d’Apicio, vino , mosto cotto e olio. Quando sarà bene imbevuto nella salsa, lo si metterà su un piatto e, dopo averlo spolverizzato di pepe, lo si servirà a tavola.
Haedum sive agnum parthicum = Capretto o agnello partico: Mettilo nel forno.Trita pepe, ruta, cipolla, santoreggia, susine secche senza nocciolo, poco laser, vino, salsa di Apicio e olio. Nel piatto bagna la carne con vino bollente. Poi si mangia con aceto.
Copadia haedina sive agnina = Intingolo di capretto o agnello : Cuoci la carne tagliata a pezzi, con pepe e salsa d’Apicio; unisci dei fagioli disfatti in salsa, pepe, laser e bocconi di pane con poco olio.
I piatti a base di pesce costituivano il punto forte della fantasia dei cuochi che si sbizzarrivano a preparare con le più svariate decorazioni i pesci più pregiati e a cuocerli in molteplici modi.
( dal libro IX, ricetta I ) - Lucustas assas sic facies = Aragosta arrosta : Si apre col suo guscio e vi si infonde della salsa d’Apicio condita con pepe e coriandolo e poi si fa arrostire sulla graticola.
Lucustam elixam cum cuminato = Aragosta allessa : si serve con le seguenti combinazioni: salsa di comino, pepe, ligustico, prezzemolo, menta secca tritati , miele, aceto e salsa d’Apicio unita a malabatro in foglia.
Isicia de cauda eius sic facies = Polpette di code d’aragosta: Leva il guscio e l’ovaia, lessa la polpa, tritala e poi fai polpette con salsa d’Apicio, pepe e uova .
Ius in scorpione elixo = Scarpena con condimento: Versa sulla scarpena pepe, prezzemolo, caryota, miele, aceto, salsa d’Apicio, senape, olio e mosto cotto.
In echino = Riccio di mare : lessare in acqua bollente, togliere e comporre in una padella con aggiunta di pepe, miele, salsa d’Apicio, uova ed amalgamare il tutto; poi cuoci sulle ceneri calde, cospargi di pepe e servi.
Embractum Baianum = Piatto di Baia ( Ricordiamo che Baia è la località vicino a Napoli dove venivano coltivate le più saporite ostriche ) : metti in una pentola piccole ostriche, spugnole ( funghi ), ortiche di mare, pinoli, ruta, coriandolo, comino, vino passito,caryota, salsa d’Apicio e olio. .
Contorni:
Betas = Bietole : tagliuzzare del porro, del coriandolo, del comino e dell’uva passa; mettere ogni ingrediente in fior di farina e incorporare il tutto e servire con salsa d’Apicio mista a olio e aceto.
Tubera o tartufi : è uno dei contorni più gustosi, a parere mio, e possono essere preparati in vari modi: dopo averli lessati e infilati su uno stecco e quindi fatti arrostire, possono essere conditi con l’immancabile salsa d’Apicio, vino, mosto, miele e pepe; oppure con una mistura di pepe, menta, olio, miele e vino ; oppure ancora si lessano i tartufi con porri e si servono con sale, pepe, coriandolo battuto, vino e poco olio. Indubbiamente il tartufo è sempre stato ed è ancora una specialità ed una rarità, anche in considerazione del suo costo elevatissimo. Plinio il Vecchio lo definisce “callo della terra” e lo pone tra le meraviglie per la sua facoltà di crescere e di riprodursi misteriosamente. Lucullo lo desiderava come tocco poetico dei suoi squisiti pranzi. E Giovenale si infatuò a tal punto che giunse ad affermare che era preferibile che mancasse il grano piuttosto che i tartufi.
Cucurbitas more Alexandrino = Zucche alla maniera Alessandrina : Cospargi di sale le zucche lesse, mettile in padella con pepe, comino, seme di coriandolo, menta verde, radice di laser, bagna con aceto; aggiungi caryote, pinoli, miele, salsa d’Apicio, mosto cotto e quando bolle, cospargi di pepe e servi.
Dopo aver visto tutti questi piatti a base di sapori molto forti ed agrodolci, deliziamo un po’ il palato con i :
Dulcia domestica et melcae = dolci casalinghi con miele: una ricetta molto semplice è quella dei datteri: togli il nocciolo a dei datteri verdi, riempili di noci o di pinoli e di pepe tritato; salali e friggili nel miele.
Tyropatinam = Torta di latte: Tempera latte con miele e uva e cuoci a fuoco lento; quando tutto si è ben rappreso, spargi del pepe e servi. Il risultato è un tipo di crema cotta.
Ova spongia ex lacte = Frittata con latte: Sciogliere per incorporare insieme 4 uova, 10 once di latte e 1 d’olio; gettare un po’ d’olio in una padella sottile e farlo bollire e quindi mettervi il composto preparato; quando è cotto da una parte, girarlo dall’altra. E’ un po’ il procedimento delle nostre crespelle o palacinche; però il condimento è diverso . Prosegue la ricetta: nel piatto la bagnerai con miele e la cospargi di pepe, cacio e salsa d’Apicio e servi.
Ed infine, Apicius fornisce anche dei rimedi per coloro che esagerano nelle libagioni e nel libro I, ricetta n. 20, dà le indicazioni per i digestivi:
Salsa acida per la digestione : Mezza oncia di pepe, tre scrupoli di siler o salice gallico, sei scrupoli di cardamomo, sei di comino, uno di malabatro, sei di menta secca. Il tutto, una volta pestato e seccato, si impasti col miele. Al bisogno aggiungasi salsa d’Apicio e aceto.
Altro metodo: Un’oncia di pepe, una di prezzemolo, una di carvi, e una di ligustico. Si impasti il tutto col miele; ed allorchè lo si voglia, vi si unisca salsa d’Apicio e aceto
Accanto ai pochi ricchi, che potevano permettersi sontuosi conviviali, come quelli accennati, c’era la folla dei poveri clientes e dei parassiti, per i quali era una vera fortuna ottenere un invito a pranzo. Vediamo la scherzosa rappresentazione che il poeta Marziale ( I sec.d.C.) fa di uno di questi personaggi che dagli inviti a pranzo riusciva ad ottenere pure un guadagno:
“ Nessuno è più misero o goloso di Santra. Quando accorre, invitato ad un vero e proprio pranzo, che ha cercato di procurarsi per giorni e notti, chiede tre volte ghiandole di cinghiale, quattro volte filetto, le due coscie e le due spalle della lepre, e non arrossisce a spergiurare per un tordo, nè ad arraffare i filamenti biancastri delle ostriche. Sporca il suo tovagliolo nascondendovi pezzi di torta, lì pone pure uva conservata....un fico con la goccia e un fungo ormai avvizzito. Ma quando il tovagliolo sta per scoppiare per i molti furti, nasconde in petto costolette rosicchiate e una tortora priva della testa, che ha già divorato. Non ritiene neppure indegno raccogliere ciò che gli schiavi ed i cani hanno lasciato. E tuttto questo ben di Dio non è sufficiente per la sua gola; riempie una bottiglia di vino misto ad acqua e se la porta dietro. Quel gran goloso reca il tutto a casa, facendosi duecento scalini, si chiude sospettoso nella sua soffitta e il giorno dopo va a vendere.” ( Marziale, Epigrammi, VII, 20 ). (4)
La cena rappresentava anche un’occasione per trascorrere del tempo con degli amici, senza porsi il problema delle portate da assaporare; ed in questi termini il poeta Catullo del I sec. A.C. Rivolge un invito al suo amico Fabullo:
“ Farai una magnifica cena, o mio Fabullo, col favore degli dei, tra pochi giorni, se porterai con te un saporito e abbondante pasto, una candida fanciulla, e vino e sale e ogni specie di allegria. Se, come ti dico, mio benvenuto, porterai tutto questo, mangerai bene: infatti la borsa del tuo Catullo è piena di ragnatele. In cambio riceverai sincero sentimento di amicizia o ciò che può essere più caro e piacevole: ti darò , infatti, un profumo che le Veneri e gli Amorini donarono alla mia donna. Quando tu lo annuserai, o mio Fabullo, pregherai gli dei che ti facciano diventare tutto naso.”. ( Catullo, Carmina 13 ).
NOTE
(1) Apicius De Re Coquinaria, a cura di Aldo Marsili, Pisa - Colombo Cursi editore - 1957, prefazione pag. VI
(2) Ibidem pag V
(3) Ibidem pag VI
(4) L.Trisciuzzi e L.Bernobini, Prima Via, lingua e civiltà di Roma, casa ed. G.D’Anna, Messina - Firenze, 1982, vol. I, pag. 133
GLOSSARIO
Acetabolo = recipiente per l’aceto usato dagli antichi Romani
Amido = materiale di riserva delle piante dalle quali si estrae e che costituisce la maggior parte dei carboidrati alimentari
Aneto = pianta delle ombrellifere detta anche finocchio marino usata in cucina e in medicina
Asaro = pianta erbacea il cui rizoma viene usato come diuretico
Assafètida = gommoresina con funzione diuretica
Assenzio = erba delle Composite, usata per preparare liquori e acquavite
Bulbocastano = i suoi frutti hanno il caratteristico sapore delle castagne
Cardamomo = erba aromatica
Cartamo = pianta erbacea delle Composite, dai fiori gialli a corolla, dai quali si ricava una sostanza colorante, e che sono talvolta impiegati per sofisticare lo zafferano
Carvi = pianta delle ombrellifere detta più comunemente cumino dei prati dai cui frutti si estrae l’essenza di cumino usato in medicina e nella fabbricazione dei liquori, oltre che in cucina
Caryota = sorta di dattero
Cicerchia = pianta erbacea simile al pisello
Coccola = bacca
Colocasia = pianta erbacea delle Aracee, i cui rizomi sono consumati come le patate e le foglie giovani come gli spinaci
Comino = pianta aromatica che rendeva pallidi
Coriandro = coriandolo, erba aromatica
Costole = la nervatura mediana delle foglie
Dramma = ottava parte di un’oncia
Farro = specie di frumento
Fava = pianta delle Papilionacee, il cui frutto si mangia fresco o secco
Garum = salsa di pesci marinati
Idromele = bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione di miele, talvolta aromatizzata con fiori di sambuco o di timo o di rosmarino
Impeciato = nero come la pece
Laser = succo del laserpizio o silfio, pianta della Cirenaica, che veniva usato in medicina e in cucina
Libbra = 12 once = circa 1/3 di kilogrammo
Ligustico = pianta mediterranea citata spesso anche da Plinio
Liquamen = salsa di pesce ossia la famosa salsa di Apicio
Malabatro = spezia?
Mastice = sorta di droga resinosa stillante da certi alberi
Nepitella = erba della Labiate detta anche mentuccia, comune nei boschi e nei luoghi selvatici, usata come ingrediente aromatico nella cottura dei funghi
Olla = recipiente di terracotta per la cottura e conservazione dei cibi
Omento = grasso, in particolare quello che avvolge gli intestini
Oncia = dodicesima parte di un tutto
Palamita = pesce dei Tunnidi che, nella specie mediterranea, può arrivare fino a 80 centimetri
Pinocchi = pinoli, i semi del pino
Piretro = erba cespugliosa con fiori bianchi e gialli dotata di proprietà insetticide
Polta = specie di polenta in uso presso gli antichi romani
Prugne damascine = varietà di susine provenienti dalla Siria
Puleggio = erba aromatica da cui si estrae un olio essenziale con proprietà analoghe a quelle della menta piperita
Rafano = pianta delle Crocifere usata per ortaggio e per olio = ravanello
Salamoia = soluzione concentrata di sale per certe lavorazioni
Salsa di pesce = salsa di Apicio
Santoreggia = erba aromatica delle Labiate , il cui olio dal sapore acre, è usato come aromatizzante nei condimenti e nella preparazione di amari per vini e liquori
Scalogno = pianta i cui bulbi hanno il sapore un po’ più forte delle cipolle
Scropolo o scrupolo = ventiquattresima parte dell’oncia
Serpillo o serpollino = suffrùtice aromatico delle Labiate, comune nei prati e nei boschi
Siler gallico = salice
Silfio = pianta della Cirenaica, il cui succo veniva usato in cucina e in medicina
Siligine = frumento bianco, fior di farina
Spelta = pianta delle graminacee, specie di frumento, originaria dell’Asia Minore
Spugnole = funghi della famiglia delle Elvellacee, caratteristici per il cappello dalla superficie alveolata, che ricorda l’aspetto di una spugna
Staccio = setaccio, il passino che separa la parte più fina da quella più grossa della farina
Vestinate = da Vestini , popolazione sannitica
Zenzero = pianta aromatica usata in cucina e in medicina