
Questo è un paragrafo. Fai clic qui per modificarlo e aggiungere il tuo testo.
Trieste all' “Opera”
musica, storia e teatro
La tradizione teatrale a Trieste risale all'epoca romana: ancora oggi possiamo ammirare in Largo Riborgo, nel centro storico della città, il “teatro romano”, o meglio, i resti del teatro - datato tra il primo e il secondo secolo d.C. - portati alla luce dagli archeologi negli anni Trenta del Novecento.
Già nel 1814 l’architetto Pietro Nobile - figura molto importante per il Neoclassico e per Trieste (sono suoi i progetti della nuova chiesa di S. Antonio Taumaturgo, i restauri a San Giusto con la valorizzazione dei resti romani sotto il campanile, il restauro di Palazzo Biserini, etc...) - ne aveva rilevata la planimetria scoprendo che si trattava di un vero e proprio teatro.
Si dice sia stato donato alla città probabilmente da Quinto Petronio Modesto (perchè questo è il nome che ricorre in tre iscrizioni di età traianea trovate nel teatro).
Era costituito da gradinate semicircolari di mattoni, rivestite poi in pietra, e di una scena fissa. Ciò che ci rimane è solo il basamento della scena e le basi in muratura dei pilastri. Eppure queste vestigia continuano ancora ad essere suggestive, almeno per i triestini. Il proscenio era ornato da varie statue (dieci delle quali sono conservate nel Civico Museo di Storia ed Arte) ed originariamente era posto fuori le mura, proprio di fronte al mare.
Poco sappiamo delle tradizioni musicali a Trieste in epoca medievale: nei primi secoli la musica ebbe inizialmente solo destinazione liturgica.
Alcune informazioni le ricaviamo dagli studi di Carlo Curiel e di Attilio Hortis.
Nel suo libro dedicato al Teatro di San Pietro (1) così scrive Curiel: “Caduto in rovina il Teatro Romano si dice sorgesse durante il Medioevo un'arena dove si rappresentavano i Misteri: ma le tradizioni sono incerte e dubbiose. Si sa invece che nel duomo stesso di San Giusto veniva rappresentato il “pianto della croce”, cioè il Mistero della Passione e dopo la processione del Corpus Domini, sopra un tavolato eretto in piazza e coperto di frasche si davano rappresentazioni sacre.”
Effettivamente in quell'epoca si stava affermando il dramma liturgico che aveva origine dai brevi dialoghi, testi o passi evangelici, recitati o cantati all'inizio della messa e anche dalle azioni sceniche collegate alla liturgia e ai Misteri (p.es. la Nascita di Gesù, la Trasfigurazione, la Passione, etc...)
Al tempo stesso però, in quell'epoca, la lingua latina iniziava a perdere terreno e si imponeva in tutta Europa il canto nelle lingue volgari: furono queste le canzoni dei menestrelli, dei giullari e dei cantastorie che allietavano e vivacizzavano banchetti e fiere.
Scriveva Hortis (2): “ Il più antico documento triestino che faccia menzione di questi giullari mostra quant'erano frequenti e come accorressero alle feste anche non chiamati e volessero essere pagati per servigi non chiesti, perchè lo statuto del 1315, a somiglianza di statuti d'altre terre, proibì al signore della festa di pagare quei giullari che non aveva invitato (…)
I sacerdoti che non poterono distruggere né in loro stessi né in altri il piacere e il desiderio degli spettacoli, vollero e seppero valersene a proprio profitto chiamando i fedeli ad essere spettatori ne' luoghi sacri. A Trieste non trovai traccia di quelle feste spesso oscene che si facevano nelle chiese in date occasioni, ma sarebbe stato assai strano che non si fossero celebrati quei Misteri tanto in uso nel medioevo (…) Se dovessimo star rigorosamente alle notizie che ci forniscono i nostri archivi bisognerebbe credere che fino al 1500 le rappresentazioni si limitassero ai Misteri ecclesiastici, ma non è conseguenza necessaria (…)
Effettivamente è molto probabile che non lo sia: nel 1200 erano già stati rinvenuti in un convento benedettino a Beuren i famosi “Carmina Burana”, canti goliardici scritti in un latino approssimativo che parodiavano la musica da chiesa.
Dal dramma liturgico iniziava a svilupparsi il teatro: esemplare in tal senso rimane la Donna de Paradiso di Iacopone da Todi, un'opera in cui sono presenti (ed è una novità), almeno due registri linguistici: uno popolare per la Madonna e Gesù e uno colto per il Nunzio.
Ciò che mancò nel Medioevo fu l'architettura teatrale, il luogo della rappresentazione, lo spazio teatrale. Ma il teatro in sé sopravvisse, si trasferì nei vicoli, nei giardini, nei cortili, nelle sale.
A Trieste la sede del Palazzo Comunale (“in Piazza Grande”) fungerà fin dal 1530 – anche se non in maniera esclusiva - da spazio scenico adibito a spettacoli. Questo edificio fu distrutto da un incendio nel 1690, venne ricostruito nel 1707 e prese il nome di “Teatro San Pietro”
Carlo Curiel (3) così descrive la “Piazza Grande” e il palazzo del Comune “computo nel 1707”:
“(...) Si saliva una bella scala marmorea e passando per un ampio vestibolo a tre arcate si entrava nella Sala del Consiglio Maggiore (…) In questa sala si davano le rappresentazioni sceniche. Prima in occasione delle festività, poi per le fiere annuali. Verso la metà del secolo fu convertita definitivamente in teatro con palcoscenico e palchetti” (pag. 18-19)
In quell'epoca era attivo a Trieste anche il Teatro dei Gesuiti che allestiva spettacoli dedicati all'agiografia, alla storia antica, alla mitologia riservati agli alunni del collegio e alle loro famiglie. Si trattava di rappresentazioni tratte dalla storia antica (“Gracco” - 1730, “Artamene e Serse” - 1732), dalla mitologia (“Telemaco”, “Dafne”, “Idomeneo”), dall'agiografia ( “San Giusto”, “San Jacopo”, “San Luigi”).
In quegli stessi anni (dal 1740 al 1760) nella vicina Venezia, Carlo Goldoni concretizzava la sua riforma, con un teatro interamente scritto.
Ai libretti goldoniani attinsero molti compositori tra cui Mozart, che mise in musica nel 1769 “La finta semplice” e l'opera comica proseguì per almeno un altro secolo - soprattutto grazie a Rossini e Donizetti - secondo le formule che si erano affermate nel Settecento.
Un' altro veneziano famoso, Apostolo Zeno, mise in opera un'ulteriore riforma. Era un grande erudito - poeta cesareo alla corte viennese dal 1718 al 1729 – che voleva elevare il melodramma alla dignità della tragedia. Eliminò gli elementi comici, introdusse unità di azione e coerenza nei personaggi, privilegiando soggetti che riguardavano la storia greco-romana e orientale. Preparò così la strada al grande Metastasio che diede al libretto rispettabilità letteraria e fece rivivere nel melodramma la tragedia antica.
Ma ancora più significativa fu la riforma di Christoph Willibald Gluck e Raniero de' Calzabigi che anticiparono la nuova concezione ottocentesca con l'unitarietà del dramma e il superamento delle “forme chiuse”.
La loro riforma, attuata soprattutto con “L'Orfeo ed Euridice” del 1762 e con l' “Alceste” del 1767 inseriva nuovi canoni nel melodramma: la predominanza delle passioni e dei sentimenti; la varietà di scene; la fusione delle voci e degli strumenti per garantire l'unità di espressione; l'introduzione della logica drammatica e l'eliminazione degli abusi introdotti dai cantanti.
Si può dire che fino a metà Ottocento l'opera comica proseguì secondo gli schemi e le formule settecentesche che nei tre generi si erano affermati: 1) la farsa (p.es L'Italiana in Algeri, 2) il melodramma giocoso (p.es. Il Barbiere di Siviglia o L'elisir d'amore) e la commedia sentimentale ( p.es. Cenerentola o Linda di Chamounix).
Ma il genere dell'opera buffa o comica si esaurirà verso la metà dell'Ottocento, quando al suo posto si impose il Melodramma.
Questo genere glorioso che riuscì a superare le convenzioni, ad imporre un solido concetto drammatico e a creare una vera tradizione musicale è ormai da molti decenni decaduto: hanno preso il suo posto i concerti pop negli stadi, le gare canore alla tv e le regie liriche improbabili, che sconcertano i pochi spettatori ancora rimasti.
Scriveva Sergio Massaron: “(...) Se vogliamo approfondire il concetto, basterà rendersi conto che la causa principale della decadenza del melodramma è questa: manca il controllo del pubblico, manca l'approvazione, la lotta, lo stimolo, il confronto di idee, l'osmosi tra l'autore - interprete dei sentimenti di massa – e la massa stessa. Tutto ciò avviene invece, ad esempio, nel cinema, che è, di questi tempi, il vero spettacolo di massa, così come lo era il melodramma. Ora i melodrammi nuovi vengono eseguiti raramente e vengono vagliati solo da un ristretto pubblico di addetti ai lavori, cioè da una élite, come ai tempi della Camerata fiorentina. Il pubblico di massa si riserva, caso mai, per opere già collaudate, ma in cui vi sia l'interesse per un interprete d'eccezione o per una messa in scena spettacolare: siamo tornati, perciò, ai tempi del San Cassiano, con l'aggravante però della mancata produzione di un nuovo repertorio.” (4)
Il pubblico triestino sembra aver sempre nutrito molto amore e interesse per la musica. Guido Hermet, nel suo volume “La vita musicale a Trieste 1801-1944” (5) sottolineava questo aspetto: “Dell'antica, vivissima passione dei triestini per la musica e per il teatro molto fu scritto e autorevolmente, dagli storici cittadini. In queste sommarie note che attendono più ampio sviluppo vogliamo ricordare particolarmente quale è stata dal principio dell'800 – ed è ancora oggi viva – la partecipazione del popolo alle manifestazioni musicali, tanto col frequentare le scuole di musica e prestare la sua opera in importanti esecuzioni, quanto nel seguire assiduamente in grande numero - attento e vigile ascoltatore – le solenni funzioni ecclesiastiche della basilica di San Giusto, le rappresentazioni liriche dei teatri, i concerti sinfonici e da camera”.
Tra Ottocento e Novecento Trieste poteva contare una ventina di teatri (di cui alcuni all'aperto), non male per una popolazione cittadina che all'epoca (ca.1880) si assestava sui 150.000 abitanti. Ma oltre ai teatri furono particolarmente vitali per la città le Società musicali: la Società Filarmonico-drammatica, la Società dei concerti, lo Schillerverein.
Fondata nel 1829 la Società Filarmonico-drammatica curò inizialmente l'attività teatrale che purtroppo con il tempo venne eliminata quasi completamente. Al suo posto si consolidarono la musica da camera, i concerti sinfonici e corali e nell'ultimo decennio del secolo anche le opere liriche. Nell'ambito della Società Filarmonica va ricordata la nascita del 'Quartetto triestino' (annoverato fra i migliori esistenti) formato da Augusto Jancovich, Giuseppe Viezzoli, Eugenio Ballarini (poi Manlio Dudovich) e Augusto Fabbri (poi Dino Baraldi) a cui si affiancò il pianista Eusebio Curelli.
Con la prima guerra mondiale la Società fu costretta all'inattività ma nel 1919 si riorganizzò presentando un programma che dava largo spazio alla musica da camera.
Si sciolse però, pochi anni dopo, nel 1925.
Si parlò spesso di competizione e rivalità tra la Società Filarmonico-drammatica e lo Schillerverein, la comunità tedesca venutasi a creare a Trieste dopo il 1850: è probabile invece che l'istituzione tedesca abbia portato un certo vantaggio ad entrambe aumentando il prestigio e il vigore della vita musicale triestina.
Nel volume di Pier Paolo Sancin “C. Schmidl & Co. L'editoria musicale e negozi di musica nel Friuli-Venezia Giulia (6) si trova un'accurata presentazione dei negozi di strumenti musicali ed editori di musica a Trieste nel periodo che va dal 1880 al 1970.
Scorrendo le pagine entriamo in una atmosfera industriosa e solerte, in attività gestite da “negozianti colti e istruiti” (7) e di “grande talento commerciale”.
Si trattava fondamentalmente di insegnanti di musica, “periti in istruzione musicale” (8) che spesso costruivano e riparavano gli strumenti, curavano depositi di pianoforti o ne gestivano direttamente una fabbrica, scambiavano e acquistavano strumenti ad arco e a plettro (come la chitarra, il mandolino, la cetra e il liuto), a fiato e a percussione. Alcuni negozi erano specialisti in ottoni ma vendevano anche pianoforti e grammofoni, altri erano specializzati in strumenti per banda e fanfara ma anche in liuteria e altri gestivano quasi esclusivamente spartiti di musica, che a quei tempi, venivano stampati ancora in gran quantità.
Vi erano bande, orchestre, concerti, quartetti d'archi, serate di Lieder, teatri di piccola e grande lirica, allievi di musica piccoli e grandi ma anche canzoni, musica moderna e perfino il jazz.
Un mondo irriconoscibile se messo a confronto con la situazione attuale in cui la fruizione della musica è fondamentalmente passiva ed affidata al digitale.
Pochi sono coloro che oggi studiano e suonano uno strumento per diletto. La passione per il violino - per fare solo un esempio caro alla letteratura triestina - sembra ai giorni nostri praticamente scomparsa.
Il “periodo aureo” dei teatri triestini iniziò intorno al 1817. Il volume “Trieste romantica. Itinerari sentimentali di altri tempi”- a cura di Rinaldo Derossi (et al.) - Libreria Internazionale “Italo Svevo” - Trieste , 1972, offre molte notizie e indicazioni al riguardo (9).
Uno dei più famosi teatri all'aperto, sito all'epoca in via Coroneo, era il “Teatro diurno” che ospitava soprattutto teatro di prosa (celebre la Compagnia Andolfati) ed era aperto ogni sera. Lavorava essenzialmente durante la bella stagione (da maggio ad ottobre), riscosse moltissimo successo e ricevette anche l'apprezzamento dell'Arciduca Ferdinando d'Austria. (9)
Pochi anni dopo, nel 1826, si iniziò la costruzione dell'Anfiteatro Mauroner, un teatro popolare frequentato non solo dai triestini ma anche dai turisti. Si trovava tra le attuali via Battisti e via Coroneo ed era soprannominato “El Teatro Giazzera” (“il teatro ghiacciaia”) - come lo definì il nostro grande poeta dialettale Giglio Padovan nella sua omonima poesia - perchè, come sappiamo dai disegni dell'epoca, era dotato di grandi vetrate attraverso le quali d'inverno soffiava – implacabile - la bora.
Prese il nome da Leopoldo Mauroner, suo ideatore e finanziatore e rimase in attività per 50 anni. Il 27 maggio 1876 fu distrutto da un incendio e non venne mai più ricostruito. (10)
Un altro importante teatro fu il Filodrammatico che ebbe una vita gloriosa dal 1827 al 1908, soprattutto per il teatro di prosa. Nel 1907 venne chiuso perchè non adeguato alle norme antincendio. In seguito fu trasformato in cinema-varietà ed infine in cinematografo. (11)
Nel 1845 la Compagnia di prosa Majeroni inaugurò il Teatro Corti che era sede delle manifestazioni artistiche della Società filarmonico-drammatica. Nel 1857 venne trasformato in scuola di equitazione e poi successivamente demolito nel 1929.(12)
Il Politeama Rossetti iniziò l'attività sostituendo il teatro Mauroner purtroppo distrutto. Ospitò ogni genere di spettacolo: lirica, prosa, operette, comizi politici, convegni delle società patriottiche e conferenze letterarie. Nel 1883 allestì per la prima volta a Trieste la Tetralogia di Richard Wagner (13).
Il Teatro Fenice fu il vero erede del Teatro Mauroner (la Fenice che risorge dalle sue ceneri). Offriva ogni genere di spettacoli: lirica, operetta, prosa, circo, illusionismo, balli popolari. Inaugurato nel 1879 con “La Forza del destino” oggi è solo un cinema.(14)
Infine un accenno al “Teatro Minerva”. Sorse nel 1905. Situato in via Coroneo, tra via Zanetti e via Rismondo, ospitò vari generi di spettacolo, tra cui opere, commedie e balli. Ebbe attività breve (dal 1905 al 1912) e si dice sia stato abbattuto perchè troppo spesso funestato dalla pioggia.
Marino Pittana nel suo libro dedicato al “Minerva” scrive: “Purtroppo la sua vita di otto anni fu breve, ma non ingloriosa. Il nemico peggiore si mostrò Giove Pluvio, che nel giugno 1912 riversò giornalmente le sue cateratte, mentre ironia della sorte, una siccità eccezionale venne registrata lo stesso mese dell'anno seguente, quando il teatro era ormai demolito” (15)
Da ultimo vogliamo accennare al “Teatro Armonia”, ribattezzato nel 1902 “Teatro Carlo Goldoni”. Rodolfo Kraus ne racconta le vicende in “Grandezza e decadenza di un teatro scomparso” (16)
Sorgeva in Piazza della Legna (oggi Piazza Goldoni) e venne costruito e finanziato nel 1857 da un “consorzio di cittadini illustri” (17) fra cui il Barone Pasquale Revoltella. Fu in attività dal 1857 al 1912 anno in cui venne demolito. Ospitò lirica e prosa. Fu il teatro “nobile”, “uno dei più raffinati e preziosi teatri di prosa” frequentato anche dall'arciduca Massimiliano e Carlotta.
Kraus ne descrive gli interni:
“In alto della boccascena nel cui centro era posto un orologio a controllo della puntualità degli spettacoli...e degli spettatori, vi stava una statua dorata, simboleggiante l'Armonia, la quale era circondata dalle inseparabili sue consorelle: Talia e Melpomene (rispettivamente la Musa della Commedia e della Tragedia n.d.r.) (18)
“Il palcoscenico formava con la platea mediante un sistema di smontaggio, tutta un'ampia sala che si utilizzò infatti durante le veglie carnovalesche del primo tempo. Si integrava così la quintuplice funzione del nuovo teatro triestino, nel campo precisamente della musica, del canto, della recitazione, della danza e della mondanità (19) .
Lo spettacolo inaugurale fu il “Poliuto” di Donizetti e direttore d'orchestra era Giuseppe Alessandro Scaramelli.
Alla terza rappresentazione del “Poliuto” apparve nel sontuoso palco regale, tutto velluti e oro, l'arciduca Massimiliano, governatore generale delle “province Lombardo-Venete” e comandante in capo della Marina da guerra, il quale aveva al suo fianco la giovane sposa diciassettenne, la bionda, sorridente principessa Carlotta del Belgio.(20)
All'epoca nei teatri di tutta Europa si era imposto l'utilizzo dell'illuminazione a gas e questo aveva causato un drammatico aumento di incendi e di vittime nella quasi totale assenza di norme di sicurezza.
Solo pochi anni dopo, nel 1881, vi fu a Vienna il terribile incendio del Ringtheater proprio mentre stava per andare in scena “I Racconti di Hoffmann”, il postumo successo di Offenbach. Il teatro fu raso al suolo e morirono quasi 500 persone. Dopo questa tragedia si pose maggiore attenzione alle misure di sicurezza e all'adozione di provvedimenti e leggi più sicure per garantire l'incolumità del pubblico e degli addetti ai lavori.
Queste misure riguardarono anche i teatri di Trieste con “la chiusura simultanea del 'Teatro Comunale' e quella dell' 'Armonia', che potè riaprirsi appena dopo un burocratico indugio di tre lunghi anni”(21)
Il Teatro Armonia dava anche molto spazio alla prosa e al teatro dialettale. “Nel dicembre 1891 vi succedeva, dopo un lungo intervallo, la compagnia comica goldoniana dei fratelli Giacinto ed Enrico Gallina (…) con una primizia prelibata (…) “Serenissima”, terz'ultima commedia, e non delle meno vigorose e geniali, del buon Giacinto (…) Il successo fu qui, come altrove, notevolissimo” (22)
Tre anni dopo, il 29 novembre del 1902, per volontà cittadina, il teatro “Armonia” si ribattezzava – dieci anni prima della sua fine – in quello di Carlo Goldoni (23)
Continuò ad essere frequentato da molte compagnie straniere come la francese “Brindeau”, le tedesche Nestroy e Thalheim con la “Pulzella d'Orleans” di Schiller. (24)
“Non mancò l'Operetta. Franz von Suppè nell'aprile del 1876 ebbe a salire la pedana direttoriale all' “Armonia” dirigendo con mano leggera, fra le acclamazioni unanimi, la sua recentissima “Fatinitza”, che già preludiava i ritmi giocondi e le deliziose armonie del futuro “Boccaccio”.
E nemmeno la danza: “Isadora Duncan, maestra di ritmo e di bellezza (…) aveva lasciato presso il pubblico dell'Armonia in due serate dell'ottobre 1902, un ricordo non cancellabile della sua danza" (25)
Ricordiamo anche Julius Heller che curò orchestralmente nel 1863 e nel 1867 al Teatro Armonia la “Creazione” di Haydn, su iniziativa dello Schillerverein (26)
E infine Alessandro Dumas padre - l'autore dei “Tre moschettieri” e del “Conte di Montecristo” - che il 21 dicembre 1865, cinque anni prima della sua morte, tenne al Teatro Armonia di Trieste una conferenza – si dice sia stata applauditissima dai triestini - dal titolo “Ricordi letterari dal 1820 al 1830”.
Bei tempi!
NOTE
1) Carlo L. Curiel “Il Teatro di San Pietro di Trieste 1690-1801” edito a cura degli amici .Archetipografia di Milano – 1937 – Proemio pag. 1
2) Carlo Curiel “Trieste Settecentesca” - Editore Remo Sandron – Napoli 1922 – pag. 18-19
3) Attilio Hortis - “Delle rappresentazioni sceniche in Trieste prima del Teatro di San Pietro” - sta in: “Archeografo Triestino”- raccolta di memorie, notizie e documenti particolarmente per servire alla storia di Trieste, del Friuli e dell'Istria – Nuova Serie vol. VIII – Trieste, Tipografia Hermannstorfer – 1881–1882 – pagg. 144-145-146
4) Sergio Massaron “Corso di letteratura poetica e drammatica” - G. Zanibon, Padova, 1974, pag. 136-137
5) Guido Hermet - “La vita musicale a Trieste 1801 – 1944 con speciale riguardo della musica vocale” - Editore Archeografo Triestino – Stabilimento d'arti grafiche L.Smolars e Nipote in Trieste e pubblicato in 150 esemplari numerati il 12 giugno 1947, primo anniversario della morte di Guido Hermet – pag. 9
6) Pier Paolo Sancin “C. Schmidl & Co. L'editoria musicale e negozi di musica nel Friuli-Venezia Giulia con integrazioni (sino al 1945) riguardanti Istria e Dalmazia” – Civiltà Musicale Aquilejese - Usci Friuli-Venezia Giulia - Pizzicato Ed. 2005”
7) op.cit.pag.285
8) op.cit.pag.286
9) “Trieste romantica. Itinerari sentimentali di altri tempi”- a cura di Rinaldo Derossi (et al.) - Libreria Internazionale “Italo Svevo” - Trieste , 1972, pag. 64
10) Ibidem pag. 166
11) Ibidem pag. 44-45
12) Ibidem pag. 96
13) Ibidem pag. 20
14) Ibidem pag. 151
15) Marino Pittana “Il Teatro Minerva” 1905-1912 “Ritrovi estivi dell'Ottocento Triestino” Arti grafiche Villaggio del Fanciullo di Trieste - 1956 - pag. 23
16) Kraus, Rodolfo “Grandezza e decadenza di un teatro scomparso” sta in "La Porta Orientale" - Trieste, 1931
17) Ibidem pag. 122
18) Ibidem pag. 673
19) Ibidem pagg.673-674
20) Ibidem pag. 675
21) Ibidem pag. 676
22) Ibidem pag. 680
23) Ibidem pag. 680
24) Ibidem pag. 683
25) Ibidem pag. 684
26) Ibidem pag. 684